Amnesty vuole schedare i poliziotti (invece dei delinquenti). Polizia: “Un assist a chi ci odia”

COMUNICATO AMNESTY – Con un appello rivolto al ministro dell’Interno Matteo Salvini e al capo della Polizia Franco Gabrielli, Amnesty International Italia ha lanciato una campagna perché le forze di polizia siano dotate di codici identificativi alfanumerici individuali durante le operazioni di ordine pubblico.

Diciassette anni dopo il G8 di Geno­va del 2001, benché le violazioni gravi e sistematiche dei diritti umani commesse in occasione di quell’evento siano state accerta­te in giudizio, molti fra gli appartenenti alle forze di polizia coinvolti sono rimasti impuniti, in parte proprio perché non fu possibile risalire all’identità di tutti gli agenti presenti.

Già nel 2012 il Parlamento europeo approvava una risoluzione sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione europea (2010-2011) in cui, alla raccomandazione n. 192, si sollecitavano gli stati membri “a garantire che il personale di polizia porti un numero identificativo”.

Diversi stati dell’Unione europea hanno dato seguito a questa richiesta, ma non l’Italia. Nel corso delle passate legislature, numerose iniziative parlamentari hanno sottolineato la necessità di rendere più agevole l’individuazione, laddove necessaria, dei singoli agenti adibiti a funzioni di ordine pubblico in occasione di manifestazioni. Tuttavia, queste proposte non hanno avuto esito positivo.

Amnesty International ritiene ormai urgente che sia varata una normativa in linea con gli standard internazionali, che preveda l’utilizzo di codici identificativi alfanumerici ben visibili sulle uniformi degli agenti impegnati in attività di ordine pubblico e che stabilisca che l’inosservanza di detto obbligo venga sanzionata.

L’organizzazione per i diritti umani auspica che su questo tema possa essere avviato un dialogo costruttivo con tutte le parti interessate, compresi i sindacati delle forze di polizia.

Alla campagna hanno aderito A Buon Diritto, Antigone, Associazione Stefano Cucchi Onlus e Cittadinanzattiva.

“Questa campagna non è ‘contro le forze di polizia’, che sono attori chiave nella protezione dei diritti umani. Affinché questo ruolo sia riconosciuto nella sua importanza e incontri la piena fiducia di tutti, è però fondamentale che eventuali episodi di uso ingiustificato o eccessivo della forza siano riconosciuti e sanzionati adeguatamente, senza che si frappongano ostacoli all’accertamento delle responsabilità individuali”, ha sottolineato Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International Italia.

“L’introduzione di misure come i codici identificativi per gli agenti impegnati in operazioni di ordine pubblico rappresenta non solo una garanzia per il cittadino, ma anche una forma di tutela per gli stessi appartenenti alle forze di polizia: una misura che non dovrebbe essere temuta né avversata da chi svolge il proprio lavoro in maniera conforme alle norme e agli standard internazionali sui diritti umani”, ha concluso Marchesi.

FINE DEL COMUNICATO AMNESTY – Roma, 6 novembre 2018

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La replica della polizia, attraverso il suo sindacato più rappresentativo, è di grande amarezza: “Il numero identificativo è un metodo molto vecchio e poco efficace che presta la spalla a false denunce strumentali, mentre ciò che può mostrare una telecamera è incontrovertibile”, dice il Sindacato autonomo di Polizia (Sap). “Accettiamo l’invito a metterci la faccia – commenta Stefano Paoloni, segretario generale del Sap – A dire il vero la faccia ce la mettiamo ogni giorno, quando scendiamo in strada a tutela della sicurezza della brava gente, ma possiamo fare di più. Anche di più di quanto chiede Amnesty International. La faccia siamo disposti a metterla con telecamere sulle nostre divise, auto di servizio e celle di sicurezza, in modo da documentare con video e audio, ogni singolo respiro di un intervento di Polizia. Le telecamere – sottolinea Paoloni – sono uno strumento di trasparenza e verità che non perdonano nessuno e sono al centro delle nostre proposte di idonee garanzie funzionali. Con le telecamere sulle divise, da anni tra le proposte del Sap, oltre a riprendere l’operato degli agenti, sarà possibile riprendere anche le reazioni di quanti denunciano abusi durante cortei o agli stadi, per poi rivelarsi professionisti del disordine pubblico”.

“L’identificativo è una vera e propria azione di schedatura che presta facilmente l’agente a strumentalizzazioni, gogna, nonché pericolo per la sua incolumità, come avvenuto di recente con la pubblicazione di foto e dati personali sul sito posto nel deep web ‘Caccia allo sbirro‘. Andrebbero schedati i delinquenti, non i poliziotti. Se Amnesty chiede alla Polizia di metterci la faccia – conclude il segretario del Sap – noi non ci pensiamo due volte. Ci mettiamo faccia e voce. Con le telecamere che riprendono sia noi, sia chi non rispetta le elementari regole di civile e pacifica convivenza”.