di Antonio Amorosi – E’ finita la pacchia, direbbe Matteo Salvini. Gli immigrati omosessuali che hanno subito atti di persecuzione, violenza fisica o psichica, inclusa la violenza sessuale o diretta contro il proprio orientamento possono chiedere asilo internazionale in Italia. Difficile però capire chi finge e chi davvero corre un pericolo, con tutta la complessità che ancora oggi comporta il dichiararsi omosessuale. Diversi mediatori culturali raccontano che i richiedenti asilo, spesso semplici migranti economici, sostengano di essere omosessuali solo per trarne un vantaggio, riferendo anche storie di violenze tutte simili fra loro, come se avessero ricevuto delle imbeccate da chi cura le loro domande.
I migranti richiedenti asilo gay possono anche essere riconosciuti in quanto tali ricevendo una “protezione sussidiaria”. In sostanza non sei un profugo, cioè non provieni da una guerra ma sei stato discriminato. Questo tipo di protezione si chiama “protezione sussidiaria”, riservata a varie tipologie di soggetti. Tra questi vi sono appunto anche i migranti omosessuali che nel Paese di origine sono stati vittime, per il proprio orientamento sessuale, di un atto di violenza, sono per questo considerabili in pericolo di vita, sono discriminati o lo sono stati.
Nel 2015 hanno ricevuto in Italia lo status di “protezione sussidiaria” 10.225 richiedenti. Nel 2016 12.873. Nel 2017 solo 6.880 (dati ministero dell’Interno). A fronte di un numero di domande totali annue esaminate oscillanti tra le 71.000 e le 91.000.
Vi ricordate quando in Italia la leva militare era discriminatoria per gli omosessuali? Con l’effetto, che dopo anni di derisione, discriminazioni e nonnismo, chi si dichiarava gay era esonerato dalla leva?
L’Arcigay ricorda in un suo scritto la delirante normativa che vi era a monte: “l’esonero degli omosessuali dal servizio di leva con il famoso articolo 28/62 che parlava di ‘inversione sessuale’”, o “ l’articolo 41 comma b del DPR 1008/85 che parlava di ‘devianza sessuale’ e “l’articolo 30 del decreto del Ministro della Difesa del 29 novembre 1995 che parlava dei ‘disturbi della sessualità’”, così come “ l’articolo 15 (‘psichiatria’) del decreto del Ministro della Difesa del 26 marzo 1999 (entrato in vigore l’1 ottobre 1999) che parlava al comma ‘i’ di ‘parafilie e i disturbi della identità di genere’”.
La questione gay, che è servita anche a tanti che non lo erano per essere esonerati dalla leva, si è traslata sui richiedenti asilo politico.
Ma oggi cambia tutto, con un’ordinanza della Corte di Cassazione.
Se è giusto proteggere gli omosessuali perseguitati e concedere loro l’asilo, la condizione di omosessuale di per sé non è sufficiente per chiedere la protezione internazionale. Deve essere accertata l’autenticità dell’orientamento sessuale del richiedente protezione o che il richiedente corra un pericolo reale o che nel Paese di provenienza c’è un reale pericolo di discriminazione sessuale.
E’ una decisione della Corte di Cassazione, sez. VI Civile, 1 che con l’ordinanza n. 22416/18, depositata il 13 settembre scorso, ha respinto definitivamente la domanda presentata da un uomo di origini nigeriane che ha proposto ricorso contro una sentenza avversa. Per i giudici è decisiva la constatazione che in Nigeria l’omosessualità non è considerata reato. Sono sì vietati i matrimoni tra gay ma questo non comporta un pericolo di chi lo sia. E gli episodi di discriminazione verificatisi sono stati estremamente limitati.
Il nigeriano sosteneva “di correre seri pericoli in caso di ritorno in patria per la sua condizione di omosessuale”. Orientamento sessuale dell’uomo, secondo la Cassazione, che si fonda esclusivamente sul racconto del nigeriano stesso, “racconto da lui reso, peraltro confuso e poco credibile”, scrivono nel dispositivo quelli dell’Alta corte. Nel dettaglio l’uomo descrive un episodio di violenza non consumata in cui l’aggressore sarebbe anche stato ucciso.
La Cassazione ha valutato anche che “la situazione sociale politica in Nigeria non fosse connotata da episodi di violenza di intolleranza nei confronti degli omosessuali”. Aggiungendo che “non risulta che i Nigeria l’omosessualità costituisca reato, desumendosi (dal rapporto Uman Rights Watch del 2017) esclusivamente l’introduzione del divieto di matrimonio tra persone dello stesso sesso. Senza peraltro alcuna legittimazione degli abusi contro gli omosessuali”. Per la corte di Cassazione è chiaro che in Nigeria l’ordinamento giuridico non si intromette nella vita dei cittadini omosessuali, “compromettendo la loro libertà personale e li pone in una situazione oggettiva di persecuzione, tale da giustificare la concessione richiesta”. Gli stessi conflitti politici esistenti nel sud della Nigeria, non sono così gravi e diffusi da accettare le richieste dell’uomo.
Il nigeriano aveva presentato la stessa richiesta alla Corte d’appello di Brescia, dove era stata rigettata. Da qui la domanda di intervento della Cassazione.