di Antonio Amorosi
Quando sarà finita la retorica sui 16 braccianti agricoli morti in 48 ore nel foggiano, qualcuno dovrà spiegare il suo storytelling, gli annunci e la sorpresa e perché il giorno dopo si riparte con i caporali di sempre, come se nulla fosse. Anche perché tanti pugliesi che hanno visto le scene in tv hanno il disgusto che gli affiora allo stomaco. Ci sarà pure un motivo perché gli elettori sono disposti a votare qualsiasi cambiamento pur di liberarsi da chi ha governato. Così come c’è un modo per liberarsi dal caporalato. Ma facciamo un passo indietro.
IL SISTEMA DEL CAPORALATO: I NUMERI E LE CONNIVENZE
Ogni mattina una città più grande di Bologna si sveglia per lavorare nell’agricoltura, sotto un caporale o in modo totalmente irregolare. Sono circa 430.000 per l’osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil. E non accade solo al Sud e non solo in agricoltura. Nella rossa e illuminata Emilia-Romagna se ne contano oltre 10.000 di persone che lavorano in condizioni di sfruttamento negli appalti di dubbia legittimità. Le stime più miti calcolano che il lavoro irregolare in Italia vale 77 miliardi di euro annui. Singoli e gruppi chiusi in una vita cruenta e disumana sotto il giogo dei caporali, dalla logistica al facchinaggio, dalle pulizie alla lavorazione dei cibi, persino nell’inventariato così come nell’agricoltura. Solo il business del lavoro irregolare e del caporalato in agricoltura è pari a 4,8 miliardi di euro. Il 60% dei lavoratori in nero in agricoltura è utilizzato da aziende agricole del Sud. Il 20% in Puglia. Negli altri settori non è neanche stimato.
E’ il sottomondo di schiavi invisibili che compare nelle cronache delle tv solo quando ci sono i morti e che scompare il giorno dopo perché non fa audience.
Lo spiegavo meglio nel libro Coop connection: è il pilastro su cui si regge la nostra economia.
Coop Connection: i tentacoli avvelenati di un’economia parallela
Sono le leggi della Grande distribuzione organizzata e del mercato, bellezza. Ogni regione ha la sua sacca di efficienza che abbassa i costi e riesce ad essere competitiva sul mercato interno del prezzi. Si lavora a 2 o 3 euro l’ora per 12 o 13 ore al giorno.
Quando lo spiegai ad un conduttore televisivo mi rispose: “Va bene parlare del caporalato, ma non possiamo parlare di tutta la filiera, della Grande distribuzione. Troppo complesso e poi noi non ce l’abbiamo con la Gdo. La gente non capirebbe”.
Non capiscono neanche quelli che tutte le notti si recano al grande Ortomercato di Milano, il cuore alimentare di tutta la provincia. Nelle pieghe del lavoro regolare si insinuano loro. La stessa storia si ripete al porto di Civitavecchia, a quello di Napoli, nelle vigne dell’astigiano e nel cuneese, tra gli ortaggi della pianura pontina, nella lavorazione delle carni del modenese, fino alle insalate della Marsica o del salernitano, tra i pomodori del casertano, nel tavoliere delle Puglie o tra le arance di Rosarno ed è solo un piccolo spaccato. Ogni luogo ha regole diverse e una diversa gradazione delle attività, differenti modi per aggirare le norme e chi anche in quei luoghi vorrebbe seguire le regole. Ma questi settori vivono in un misto di mancanza di controllo del territorio e crimini diffusi, tra assenza di ispettorati del lavoro e giungle di mafie che si alimentano dell’immigrazione clandestina. Un mondo fuori controllo che chi è ai vertici non vede. Queste orde di invisibili caricano e scaricano merci o lavorano per ore a raccogliere qualcosa che finirà negli scaffali dei supermarket. E tutto alla luce del sole. A seconda del contesto la sequenza dei subappalti resta un continuum. Dove i subappalti esistono; altrove si lavoro da generazioni nel “nero” totale.
Sono storie di milioni di individui, adatte ad essere trattate in tv in modo patetico e retorico (con la lacrimuccia), non consone alle pailettes della conduttrice di turno che non mancherà di indignarsi qualora incappi in una news sui poveri schiavi.
IL SISTEMA DEL CAPORALATO: RENZI CHE ABROGA IL REATO DI INTERMEDIAZIONE FRAUDOLENTA DI MANODOPERA E LA LEGGE SUL CAPORALATO
Nel 2015 il governo Renzi per mano del ministro Giuliano Poletti abroga il reato di intermediazione fraudolenta di manodopera con l’articolo 81 del Jobs Act.
Il reato di intermediazione fraudolenta di manodopera, voluto dalla Legge Biagi, viene depenalizzato e declassato a infrazione amministrativa. Nel 2016 il governo Pd vorrebbe correre ai ripari e approva una legge contro il caporalato con una parte dedicata alla regolamentazione del reclutamento dei lavoratori ma che non verrà mai adottata. Non mancano però i grandi annunci e l’autocompiacimento per aver dato vita alla prima legge contro i caporali che la storia d’Italia ricordi (lo storytelling del caso). Qualcuno viene denunciato per aver assunto un singolo in nero che casomai gli era stato fornito da una cooperativa, mentre le bidonville di mezza Italia e i campi di schiavi restano dove sono.
Nella versione del decreto “Dignità”, votato alla Camera dal governo giallo-verde, è stato ripristinato il reato di somministrazione fraudolenta di manodopera. Non rispettare le norme contrattuali comporta un’ammenda di 20 euro per ogni giornata di lavoro in regime di somministrazione fraudolenta.
Il governo Renzi però aveva depenalizzato anche le ammende “con un massimale di 50.000 euro di sanzione che, se pagata subito, si riduce ad un terzo, cioè a 16.667 euro che, nel caso degli appalti irregolari, sono la sanzione massima che devono pagare insieme committente e appaltatore”, spiega Umberto Franciosi della Cgil. E continua: “Altro che deterrenza! Eccovi un esempio standard su un possibile controllo, in media ogni 20 anni, su centinaia di lavoratori somministrati irregolarmente attraverso appalti illeciti. Nel caso venissero sanzionati i committenti e gli pseudo appaltatori, se la caverebbero con un importo che fa il ‘solletico’ se paragonato ai fatturati e ai guadagni milionari che questo sistema può generare. Come abbiamo dimostrato già in altre occasioni, in un appalto illecito è sanzionato maggiormente un singolo lavoratore, per le modalità di corresponsione dello stipendio a cui era sottoposto, che committente e appaltatore messi insieme”.
IL SISTEMA DEL CAPORALATO: COME LIBERARSENE
Il governo che si è autodefinito del cambiamento avrà su questo un banco di prova rilevante. Un tema che non si affronta con una toppa o con un miglioramento del quadro, devastante. Ma almeno, solo per iniziare, con una task force permanente capace di riformare il sistema normativo incerto che vi sta alla base, l’occupazione del territorio fatto dagli schiavisti e la formazione dei prezzi della Gdo.
Se si vuole davvero debellare il caporalato non occorre colpire nel mucchio, pensando ad un’astratta e generica riforma, ma andando ai vertici della catena di comando e regolamentando il comportamento dei committenti che prendono le merci o faranno eseguire i lavori.
Non sono certo i caporali il problema vero. Essi sono solo la manifestazione più brutale.
La Grande distribuzione organizzata (i grandi supermarket) è in grado di determinare i prezzi delle merci ai fornitori. Per le grandi moli e quantità di merci assunte ci sono enormi margini di cambiamento (si possono cioè alzare i prezzi). Ma i fornitori, strozzati, scaricano le conseguenze dei bassi profitti imposti dalla Gdo sull’ultimo pezzo della catena di montaggio: i produttori. Costoro, in proprio o tramite caporali, assoldano i lavoratori per riuscire ad avere i salari più bassi possibili. Infatti solo i caporali possono raccattare masse di disperati, stranieri e italiani, disposti a lavorare in condizioni di schiavitù.
Quindi, chi vuol davvero intervenire non ha altre strade che colpire la testa della filiera, e far rispettare alla Gdo altre modalità nella formazione dei prezzi. La Gdo però è un soggetto economico che per potenza e rilevanza nessuno si è mai permesso di sfiorare.
Contemporaneamente la task force dovrebbe ripristinare la legalità nei territorio dove la schiavitù, il caporalato e le bidonville prendono forma, sanando i contesti e ripristinando delle regole certe con un controllo serrato del territorio. Colpendo duramente gli scempi che si sono sedimentati in tanti anni, dando mezzi e risorse alle forze dell’ordine e alla magistratura, e costringendo se stessi, cioè lo Stato, le Regioni e i Comuni, ad esercitare quei controlli incrociati sul lavoro che non si esercita quasi mai.
Il tutto a fronte di una riforma giuridica del lavoro somministrato agile e certa. Sottintendendo che una causa di settore non può durare un decennio ma neanche un lustro e la schiavitù non può essere derubricata a reato amministrativo.
Coop connection: Armando Manocchia intervista Antonio Amorosi