Perché l’establishment attacca il Decreto dignità: qualcuno ci preferisce precari a vita

di Giuseppe PALMA e Paolo BECCHI

Del lavoro e dei lavoratori, Da Monti a Renzi, è stata fatta carne di porco. Già, proprio così. Prima la riforma Fornero ha limitato i casi in cui il lavoratore poteva chiedere il reintegro, poi il Jobs Act ha dato il colpo di grazia rendendo la “tutela reale” un’ipotesi meramente residuale. Ma non solo. La riforma renziana ha ridotto anche la forbice della “tutela obbligatoria”, cioè quella economica, che passava dalle 12-24 mensilità di risarcimento previste dalla Fornero alle 4-24 mensilità previste dal Jobs Act.
Il tutto tra gli applausi di Confindustria e il silenzio collaborazionista dei sindacati.

Il Decreto dignità del governo del cambiamento, voluto in primis da Luigi Di Maio, finalmente inverte la tendenza rispetto agli ultimi sei anni. Beninteso, nulla cambia rispetto al Jobs Act in merito alle ipotesi in cui il lavoratore illegittimamente licenziato può chiedere al giudice di essere reintegrato, ma viene messo un freno al precariato. Ci spieghiamo meglio. I contratti a tempo determinato non potranno superare la durata dei 24 mesi, infatti per disincentivare i contratti a termine vengono reintrodotte le clausole necessarie al rinnovo, cioè l’obbligo per il datore di lavoro di motivare le ragioni del rinnovo di un contratto a tempo determinato. In tal caso ogni contratto a termine successivo al primo (nel limite dei due anni) costerà alle imprese lo 0,5% in più in termini contributivi. Ma v’è di più. Il Decreto dignità, rispetto alla riforma Fornero e al Jobs Act, migliora la “tutela obbligatoria” per il lavoratore illegittimamente licenziato, il quale potrà vedersi riconosciuto un risarcimento che va da un minimo di 6 ad un massimo di 36 mensilità.
Apriti cielo!

Partito democratico e Confindustria sono partiti all’attacco perché in questo modo il lavoratore precario, non vedendosi rinnovare il contratto dopo i due anni (stiamo parlando sempre di rinnovi a termine), tornerà ad essere disoccupato: preferiscono infatti i precari ai disoccupati, così è più facile ricattare i lavoratori ed abbassare i salari. Un povero padre di famiglia, spinto dallo stato di bisogno, col Jobs Act era costretto ad accettare condizioni sempre più a ribasso pur di conservare il “privilegio” del rinnovo all’infinito, salvo poi essere cacciato – in ogni caso – qualche mese più avanti. Col Decreto dignità il datore di lavoro ha invece un margine di “ricatto” più ridotto.
Pd e Confindustria starnazzano che il Decreto voluto dal Ministro del Lavoro penalizza le imprese, ma la verità è un’altra. Meno precariato mette in difficoltà la tenuta dell’attuale governance economica europea (cioè Commissione europea e Bce), quella che Salvini e Di Maio vorrebbero cambiare ma che è ben protetta in casa nostra proprio da Pd e Confindustria. 

A questo punto crediamo che il governo abbia fatto bene ad adottare il Decreto dignità per creare una diga contro i contratti a termine, ma non può fermarsi qui. La lotta al precariato deve essere accompagnata da una riforma ben più ampia che includa anche il reddito di cittadinanza, o qualcosa di simile. Sei anni di Pd hanno devastato il Paese, ora bisogna porvi rimedio con misure complessive e a più ampio respiro.

Al Nazareno si definiscono europeisti, ma dimenticano che è stata proprio una risoluzione del Parlamento europeo (organo sganciato dalla governance economica europea che invece predilige il precariato), ad invitare “la Commissione e gli Stati membri a combattere il lavoro precario“. E allora perché il Pd attacca il Decreto dignità? Forse perché conviene invocare l’ “europeismo” solo quando fa comodo alle banche e alle multinazionali?

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