La gara di cessione degli impianti siderurgici di Ilva, che sono stati assegnati al colosso Arcelor Mittal, è stata “un pasticcio commesso dallo Stato”, perché “è stato leso il principio della concorrenza e le regole del gioco sono state cambiate in corsa”.
Luigi Di Maio spara a zero contro contro la procedura di vendita gestita dal passato governo, dopo le rilevazione dell’Anac che ha fatto scattare l’allarme. Il ministro dello Sviluppo Economico attacca la gestione del Mise precedente alla sua, e annuncia un’indagine interna al dicastero, chiarimenti dai commissari e un parere all’Avvocatura dello Stato.
I nodi individuati toccano tre punti: il rinvio del piano ambientale, le scadenze intermedie e i mancati rilanci. Un eventuale stop alla procedura – che sarebbe una svolta clamorosa – può essere deciso soltanto dallo stesso ministero dello Sviluppo economico, che ora è in mano appunto a Di Maio. Partendo dal dossier dell’Anticorruzione, definito “un macigno”, il ministro afferma: “Se la procedura fosse stata corretta, ci sarebbero state molte più offerte e molte più offerte e tutte migliori anche quella di Arcelor”. Ha infatti rimarcato che “l’offerta di AcciaItalia guidata dal gruppo Jindal era la migliore, ma nel bando metà del punteggio era dato al prezzo” e non al piano ambientale e alla salute.
Insomma, un j’accuse in piena regola, rivolto al suo predecessore Carlo Calenda che, a stretto giro, risponde assumendosi “tutte le responsabilità” e attacca a suo volta, invitando Di Maio ad “annullare la gara” qualora la ritenesse viziata.
Poi la stoccata di Calenda: “Hai detto in Parlamento cose gravi e false. Minacciare indagini interne al Mise è vergognoso. La responsabilità è mia. A differenza tua, non ho bisogno di inventarmi manine”. In quanto ministro dello Sviluppo Economico, Di Maio ha certo il potere di fermare la procedura di vendita ma, per ora, si limita ad annunciare questa indagine interna per “capire di chi sono le responsabilità specifiche”.