Fiammetta Borsellino fa i nomi: “depistaggio iniziato nel ’92 accettato da schiere di giudici”

“Sono passati 26 anni dalla morte di mio padre, Paolo Borsellino. E ancora aspettiamo delle risposte da uomini delle istituzioni e non solo. Ci sono domande – le domande che io e miei fratelli Manfredi e Lucia non smetteremo di ripetere – che non possono essere rimosse dall’indifferenza o da colpevoli disattenzioni. Domande su un depistaggio iniziato nel 1992, ordito da vertici investigativi ed accettato da schiere di giudici”.

Lo scrive Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato ucciso da Cosa nostra il 19 luglio 1992 in via D’Amelio, in un intervento su Repubblica in cui pone 13 domande.

Il primo quesito è sulla mancata messa in atto di “tutte le misure necessarie per proteggere mio padre, che dopo la morte di Falcone era diventato l’obiettivo numero uno di Cosa nostra”, scrive Borsellino, che chiede conto anche della mancata protezione della scena del crimine, con la conseguente sottrazione dell’agenda rossa.

“Perché i pm di Caltanissetta non ritennero mai di interrogare il procuratore capo di Palermo Pietro Giammanco, che non aveva informato mio padre della nota del Ros sul ‘tritolo arrivato in città’ e gli aveva pure negato il coordinamento delle indagini su Palermo, cosa che concesse solo il giorno della strage, con una telefonata alle 7 del mattino?”, prosegue la donna. “Perché nei 57 giorni fra Capaci e via D’Amelio, i pm di Caltanissetta non convocarono mai mio padre, che aveva detto pubblicamente di avere cose importanti da riferire?”.

Le ultime otto domande riguardano Scarantino, a cominciare da cosa c’è ancora negli archivi del vecchio Sisde sul “falso pentito (indicato dall’intelligence come vicino ad esponenti mafiosi) e sul suo suggeritore, l’ex capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera”.

 

La verità sulla strage di via D’Amelio è stata “allontanata, se non evitata, da 25 anni di buchi neri”.

da www.ilsicilia.it

Dopo quattro filoni processuali è arrivato per Fiammetta Borsellino, la figlia minore del magistrato ucciso il 19 luglio 1992, il momento di dire come sono andate le cose. “Vogliamo la verità. Forse i collaboratori dovrebbero emergere anche da altri ambiti“, dichiara in una lunga intervista a Fanpage.it.

Fiammetta Borsellino, che per la prima volta aveva parlato in pubblico il 23 maggio scorso in occasione della diretta televisiva Rai da Via D’Amelio, intervistata da Sandro Ruotolo ripercorre i “buchi neri” e i depistaggi che hanno inquinato l’inchiesta e condannato all’ergastolo sei imputati poi scarcerati. Pone molte domande sulla gestione del falso pentito Vincenzo Scarantino, che si era accusato di avere rubato l’auto usata nell’attentato, e rievoca il mistero dell’agenda rossa del padre di cui si è persa ogni traccia. Per lei occorre chiedere “rigore morale” a chi ricopre “cariche istituzionali e di alta responsabilità” perché si dia conto delle deviazioni ai familiari delle vittime, ai giovani e a “quella buona parte del Paese che ripudia la mafia”.

La ricerca della verità, secondo Fiammetta Borsellino, passa attraverso l’accertamento di ciò che è acceduto dopo la strage ma anche prima. E in proposito ricorda i contrasti tra il padre e il procuratore capo dell’epoca, Pietro Giammanco, il quale avrebbe negato a Paolo Borsellino la delega a indagare su Palermo, salvo poi a cambiare idea con una telefonata “alle 7 del mattino”. E aggiunge: “C’è poi da fare luce su tutta quella parte oscura che chiamano trattativa. E riguarda quei 57 giorni fondamentali intercorsi tra la morte di Falcone e quella di mio padre. Su questo punto mio padre non è stato mai sentito dai pm di Caltanissetta”.

Nella ricerca della verità sulla strage di via D’Amelio e sui depistaggi Fiammetta Borsellino chiama in causa, nell’intervista, sia il pool investigativo guidato da Arnaldo La Barbera sia i magistrati della procura di Caltanissetta. Al pool di La Barbera, deceduto da alcuni anni, la figlia del magistrato attribuisce la discussa gestione di Vincenzo Scarantino, un numero spropositato (ben 10 quelli autorizzati) di colloqui investigativi con il falso pentito, una ricostruzione dei preparativi della strage poi smontata dal vero pentito Gaspare Spatuzza.

Non mancano nell’intervista i riferimenti critici ai magistrati di Caltanissetta che seguirono la prima fase dell’inchiesta. La figlia del magistrato ucciso cita il procuratore capo del tempo Giovanni Tinebra, recentemente scomparso, i pm Carmelo Petralia e Anna Maria Palma ai quali si aggiunse nel novembre 1994 anche il collega Nino Di Matteo.

Dalla linea che sosteneva l’attendibilità di Scarantino si distaccarono, ricorda Fiammetta Borsellino, Ilda Boccassini e Roberto Sajeva. Alcuni passaggi dell’inchiesta non sarebbero stati neanche verbalizzati. Un confronto decisivo tra Scarantino e il boss pentito Salvatore Cancemi venne fatto in sede investigativa e non fu portato al dibattimento “dove si forma la prova”.

Alcuni pm avrebbero smentito in anticipo ritrattazioni di Scarantino che sarebbero state fatte solo dopo. Fino alla Cassazione venne in sostanza avallata l’impostazione del gruppo di La Barbera. Correzioni di linea sarebbero state introdotte solo a partire dal processo Borsellino ter. Chi e perché ispirò Scarantino? “L’ansia da risultato – risponde Fiammetta Borsellino – non può essere, per noi familiari, una giustificazione. Ovvio che, alle luce del pentimento di Spatuzza, questo quadro assume un carattere veramente inquietante”