di Antonio Amorosi
Lo schiavo io ce l’ho in coop e tu no? Il meccanismo è oleato da anni di efficienza nella Grande distribuzione organizzata, nella logistica e nelle fabbriche. Ma ogni tanto si inceppa, come qualche giorno fa, quando è emerso a livello interregionale la condizione di una parte della comunità indiana in Italia che vive in condizione di schiavitù (e non sono neanche quelli che arrivano con i barconi).
Un caporale è stato arrestato. Non in Italia, dove si parla per ideologia di repressione del fenomeno, bensì nel Paese di origine del caporale, l’India.
“Se sei di quella nazionalità e vuoi venire a lavorare in Italia paghi circa 5.000 euro per avere un lavoro e un posto letto a 330 euro al mese, in un appartamento con altri 10 o 20 connazionali”, spiega ad AffaritalianiGianni Boetto di Adl Cobas di Padova: “Ti arriverà un contratto a tempo determinato da facchino in una coop per 11 o 12 ore al giorno e tre o quattro mesi di durata”. Poi iniziano i rinnovi, ogni 6 mesi, con la speranza di ottenere un passaggio a tempo indeterminato.
“Va avanti così da sempre”, racconta Boetto, “da quando esiste il decreto flussi che non si adotta più da 3 o 4 anni, con paghe da 3 o 4 euro l’ora, ma il sistema resta. L’imprenditore poteva assumere lavoratori immigrati dall’estero. Ma cosa vuole ne sapesse l’imprenditore italiano di chi era all’estero!? Così arrivano i caporali che garantiscono le 30 persone richieste per fare il tal lavoro.”
A centinaia i lavoratori sono costituiti in cooperative che fanno servizi per la Gdo, per le fabbriche, la logistica o in agricoltura. Il committente dice di non saperne nulla e tutto finisce lì. Si paga per entrare nel “giri” e il gioco è fatto. Tutta Italia si muove da anni su questa falsa riga e i gruppi etnici vengono organizzati a seconda del settore del caporale. Braccianti, facchini, donne delle pulizie, addetti ad ogni tipo di lavorazione, sono gli invisibili con paghe da fame che livellano il mercato e quindi anche i costi delle merci che troviamo sugli scaffali dei supermercati: fanno da pilastro alla nostra economia. Non occorre andare nelle baraccopoli del sud per vederli, basta frequentare i mercati di Milano, Torino, Bologna, Firenze e le reti della Gdo. Un mondo di schiavi che difficilmente emerge nelle storie patinate della tv italiana e che se si raccontano si mostrano come eccezione. Su di loro in nulla incidono le ricette dei salotti radical chic del salario minimo o i sofismi sulla ridistribuzione della ricchezza. Andrebbe ripensato il mercato del lavoro. Ma chi dovrebbe farlo?
Uno di questi spaccati è emerso qualche giorno fa e non per merito dei nostri sistemi di controllo. Uno dei caporali indiani, Tanwer Tara Chand, che per anni ha portato i suoi connazionali nel nordest veneto, a Padova come a Verona, arrivando fino ad Alessandria e Sansepolcro (Ar), è stato arrestato nello Stato del Rajasthan per minacce, dentro una controversa vicenda di omicidio.
La Adl Cobas di Padova ha tenuto una manifestazione contro il caporalato negli stessi giorni a Padova. “E’ un ambiente caratterizzato dal terrore ma da poco a Verona Tanwer Tara Chand è stato denunciato per caporalato da un lavoratore. Stessa cosa sta accadendo ad Alessandria”, ha spiegato Boetto. All’inizio della settimana Tanwer è tornato in libertà in India e dovrebbe presto tornare in Italia.
Secondo il sindacato Adl, Tanwer Tara Chand avrebbe portato nel nostro Paese centinaia di indiani per lavorare nella logistica e nelle fabbriche nordestine. Durante il corteo i lavoratori raccontavano come fossero vittime di metodi mafiosi e venduti quali schiavi alle coop costituite per procacciarsi il lavoro. “Spesso siamo noi dei sindacati di base a denunciare. Ma anche se troviamo degli ispettori bravi i tempi della giustizia sono così lunghi che tutto si inceppa e nulla cambia”, racconta Boetto, mettendo in luce un quadro devastante che ha modificato per sempre il mercato del lavoro italiano.