Sulla carta si chiama Palma Campania, nella realtà è ormai per tutti Bangla-Campania e domenica rinnova il consiglio comunale. I pochi italiani rimasti si appellano al neo ministro degli Interni, Matteo Salvini: “Venga a vedere come siamo ridotti”, “si faccia un giro anche qui e ci aiuti a trovare una soluzione”, come chiede Placido De Martino, palmese doc, fondatore e presidente della fondazione Industrialismo.
La cittadina fa parte dell’area vesuviana, è una fetta integrante del polo del tessile che impiega manodopera a basso costo, fasonisti e terzisti, che producono capi d’abbigliamento in serie per le grandi griffe della moda. E fino a 10-12 anni fa andava tutto bene, il fenomeno era anche contenuto, poi però Palma è stata letteralmente invasa dagli stranieri e oggi su 15mila abitanti ben 7mila arrivano dal Bangladesh, con lo status di rifugiati (e hanno trovato rifugio in provincia di Napoli). Circa 5mila, poi, sono irregolari, stipati in appartamenti quasi totalmente privi di igiene, ammassati uno sull’altro in pochi metri quadrati. Tanti saranno anche sfruttati da italiani, ma altrettanti hanno deciso di farla da padrone in questo angolo di Mezzogiorno che “potrebbe presto diventare il primo comune islamico d’Italia se qualcuno a Roma non prende a cuore la situazione”.
I bengalesi sono venuti a Palma per motivi economici. Non fuggono da nessuna guerra e non sono perseguitati a casa loro. De Martino, che alle spalle ha una famiglia solida e studi all’estero che gli hanno aperto gli orizzonti, potrebbe tranquillamente emigrare all’estero o fregarsene del suo paese natio, invece ha deciso di lanciare un appello al governo, e al ministro Salvini, in particolare che forse non ha ancora ben compreso la complessità del problema. “Soprattutto – spiega l’imprenditore – perché qui, nel corso degli anni, i politici locali hanno avallato questa invasione, per non parlare dei sindacati che con la scusa della cooperazione hanno consentito questa vera e propria invasione e tratta degli schiavi a fronte del percepimento di un congruo quid economico per ciascun bengalese fatto entrare”. […]