Attentato alla Democrazia, ci vuole un Presidente democraticamente eletto

di Alessandro Scipioni

Siamo davanti ad una situazione senza precedenti nella storia della repubblica.
E questo non tanto perché un presidente si e’ rifiutato di incaricare un ministro, ma perché questo presidente lo fa per ragioni di natura politica.

Infatti una scelta politica da parte di un Capo dello Stato che, di regola, dovrebbe avere solo un ruolo di garanzia, rappresenta la chiara volontà di dare un indirizzo politico ad un governo.

Se fossimo in Francia, in Slovenia, in America nessuno potrebbe eccepire nulla. In fondo il presidente francese è democraticamente eletto, se pone un veto su qualsiasi ministro di un qualsiasi governo, risponde agli elettori di tale gesto. Nella sua diretta e democratica elezione, risiede anche la legittimità di eventuali veti posti ai governi. Ma ciò non è pensabile per un presidente che non è democraticamente eletto, che è indicato da un parlamento per assumere un ruolo di garanzia. Nel suo caso le eventuali obiezioni alla ratifica di un esecutivo o di un singolo ministro possono essere certamente procedurali, certamente giuridiche, certamente costituzionali, ma sicuramente non hanno alcuna legittimità se sono delle rivendicazioni di indirizzo politico. Non è il suo ruolo. Nessuno lo ha deputato a questo.

Sembra quasi peggio di un ritorno alla monarchia, dove il re poggiava le sue prerogative su un diritto Divino. E pensare che neppure al tempo dei re d’Italia si trovava memoria di un così forte ostracismo nei riguardi della volontà di un parlamento sovrano.

Rompendo con una consolidata tradizione nella quale in Italia almeno ufficialmente, il capo dello stato, non entrava nelle dinamiche partitiche che regolano la nascita di governi, ieri il Colle, con scarso riguardo per la volontà dei nostri padri costituenti, per la prassi giurisprudenziale nell’interpretazione della carta, ed in aperto contrasto con i due partiti che rappresentano la maggioranza dei parlamentari sia nella camera che al Senato, ha compiuto un gesto che ha ferito profondamente la coscienza Democratica del popolo italiano.

Come può il presidente essere un attore della politica, se non nella veste di un semplice arbitro nel nostro ordinamento? Dura più del parlamento che lo ha eletto, quindi è in grado di condizionare un nuovo parlamento. Tale prerogativa non la ottiene tramite il voto legittimo e diretto degli italiani, ma bensì da un parlamento. Come a dire che il parlamento successivo per forza di cose debba seguire l’inclinazione di quello precedente nella formazione dei governi, se si sposa la prassi per la quale il presidente possa influenzare la nomina dei ministri anche per ragioni non meramente giuridiche o di tutela della costituzione.

Quello che è successo ieri non è un’offesa soltanto ai partiti che stavano dando vita al nuovo governo, che andava incontro alle aspettative della stragrande maggioranza degli italiani. E’ bensì un offesa al popolo italiano intero. E’ un incivile offesa alla democrazia, verso la quale dovrebbe levarsi la protesta tenace e vigorosa anche di chi in campo internazionale rispetta la sovranità italiana.

A questo punto l’unica strada non può che essere quella di elezioni anticipate; per chiedere al popolo italiano una manifestazione di fiducia ancora più forte e per mettere il colle davanti alle proprie responsabilità.
E neppure e’ più rinviabile una riforma dell’ordinamento costituzionale per l’elezione diretta del capo dello stato con la riduzione del suo mandato a 5 anni. In un momento in cui il popolo chiede con forza di riaffermare la piena sovranità, è necessario che cariche simboliche come quelle dei senatori a vita, non certo elettive ma di nomina presidenziale, a disporre del destino degli italiani.

Chi rappresenta l’Italia e chi agisce in nome del italiani può trarre la propria legittimità solo ed esclusivamente dal voto degli italiani stessi.