”Ha l’osso del collo spezzato, l’hanno strangolata! Ammazzata dalla sua stessa famiglia perché voleva scegliere! Perché rifiutava un matrimonio combinato. Dopo le menzogne e i tentativi di depistare emerge la verità che da sempre ognuno di noi sapeva: l’hanno ammazzata. Sana Cheema era una cittadina italiana, l’Italia prenda una posizione durissima. Basta clan familiari integralisti, basta matrimoni forzati, basta ragazze uccise!!!”
Così in un post sul suo profilo Facebook Souad Sbai, giornalista e presidente di Acmid-Donna in relazione alle prime risultanze dell’autopsia effettuata sul corpo di Sana Cheema.
Sbai da subito si è interessata alla vicenda e al Sussidiario.net aveva dichiarato: ”Eccoci, dopo oltre nove anni, a piangere un’altra Hina, sempre a Brescia, vittima inconsapevole della malattia buonista di cui è infetto il Paese in cui si trova. E nel quale ha confidato ogni speranza. Sembrano apparentemente integrati, vivono qui, lavorano qui. Ma l’hanno fatta andare in Pakistan e lì l’hanno ammazzata, pensando di farla franca: tanto qui in Italia chi avrebbe chiesto di lei, di quell’oggetto delle volontà della famiglia? E invece no, qui in mezzo ai tanti silenzi e alle tante spalle voltate c’è qualcuno che ne chiede conto. Noi, come numero verde antiviolenza Acmid-Donna, ancora una volta ci presenteremo parte civile pur sapendo che troveremo l’ennesima aula vuota, senza il codazzo di quelle che riempiono le piazze per protestare perché uno sguardo diventa violenza. Perché la violenza, quella vera, quella che uccide non sanno nemmeno dove sta di casa. Un obitorio, con il corpo martoriato di una donna massacrata non l’hanno mai visto. Per fortuna loro. Come non hanno mai chiesto nulla di quella marea di bambine che non frequentano nemmeno la scuola dell’obbligo e la cui fine è pressoché sconosciuta. In Italia”.