Era il 23 aprile del 1945, 24 militi della Guardia Nazionale Repubblicana del presidio di Montecchio (Reggio Emilia), dopo due giorni di battaglia, si fidarono delle parole di don Ennio Caraffi, anche lui ingannato, che portava loro il messaggio dei partigiani: “la resa a patto di aver salva la vita e la condizione di non subire maltrattamenti e percosse”.
Verso le nove del mattino uscirono da “Cà Bedogni” crivellata di colpi, all’interno dell’abitazione giacevano due ragazzi feriti (gli unici che si sarebbero salvati), due legionari morti, e nello scantinato il cadavere del partigiano Landini, per il quale già da tempo è stata eretta una lapide a ricordo. Il vicecomandante dei partigiani, nonostante la parola data nella trattativa di resa, ordinò che tutti i militi venissero fucilati seduta stante. L’ordine però non venne eseguito per l’intervento di un superiore ed i legionari vennero avviati verso la collina, dalla quale non fecero più ritorno.
In collina vi fu un processo sommario della polizia partigiana e i soldati vennero riconosciuti prigionieri di guerra, in spregio alla Convenzione di Ginevra vennero poi massacrati, anche se nel contempo la guerra era terminata. Sono passati settant’anni dalla tremenda fine dei prigionieri trucidati nel bosco di Cernaieto e mai nessuno in forma pubblica li ha voluti ricordare, non sappiamo se per paura di ritorsioni o per ipocrisia. Ogni forma di violenza sia comunista che fascista va decisamente condannata.
Nelle due fosse comuni nel bosco di Cernaieto sono stati rinvenuti resti di giovani ragazzi, di un padre massacrato assieme al figlio, di tre donne: Viappiani Paolina di 22 anni, Spaggiari Maria di 29 anni e un’altra non identificata.
La storia di Paolina, ragazza madre, è particolarmente toccante in quanto fu sequestrata dai partigiani e ammazzata dopo un mese terribile trascorso nell’edificio della scuola elementare trasformato in luogo di detenzione: eppure il padre del suo figlioletto di due anni era un noto partigiano garibaldino.
Altre salme non sono state identificate in quanto impossibile il loro riconoscimento. Fu una vera e propria strage: i cadaveri dei prigionieri vennero ammassati in fosse comuni come non si fa neppure con gli animali. Questo sterminio non è ricordato come atto di giustizia nelle rievocazioni storiche della Resistenza, a testimonianza della volontà comunista di occultare parte della storia. (Fonte: “CERNAIETO La Strage, La Croce e il Femminicidio di Paolina” dell’Ing. Fabio Filippi – Trattasi di un libro specifico e documentato sulla strage di CERNAIETO).