Filippo Facci per “Libero Quotidiano”
Un otto marzo senza la Boldrini è già un progresso innegabile per qualsiasi causa femminile: vero è che formalmente risulta ancora presidente della Camera (pardon: presidenta) ma la carica sta per scadere, soprattutto ci sono già state le elezioni politiche e quindi la signora non si è agitata più di tanto per sfruttare uno scranno che doveva solo monitorare il buon funzionamento dell’Emiciclo: mentre è arcinoto che lei, in passato, l’avesse usato come palcoscenico anche elettorale in virtù di un’interpretazione estensiva, diciamo così.
Addio, quindi, alla trovata luttuosa di mettere a mezz’asta le bandiere di Montecitorio a ogni Festa della Donna: questo in omaggio alle vittime del femminicidio, sosteneva. In altre parole, addio alla trasformazione di una festa in una cerimonia funebre, ciò che disorientò i maschilisti (ma anche tante donne normali) abituati ad associare la parola “festa” a una celebrazione anche positiva, qualcosa che, nel caso delle donne, le accostasse alle conquiste sociali e politiche ed economiche che l’Occidente ha ottenuto per loro e grazie a loro.
Addio alla convinzione, nostra, che l’8 marzo di dovesse sì parlare anche di diritti negati e di sopraffazioni e di femminicidi, certo: ma non solo e unicamente di quello, non solo di un fenomeno che peraltro in Italia è in storica diminuzione ma viene descritto come se fosse un’improvvisa emergenza.
Addio al mesto passaggio dalla rituale mimosa – associata alle donne, dal 1946, come alla lieta fioritura di marzo – direttamente ai crisantemi, come se la Festa della Donna equivalesse alla Giornata contro la violenza sulle donne che l’Onu ha istituito nel 1999: e che la Boldrini ha teso a trasformare in un secondo evento ancor più luttuoso (il 25 novembre scorso tenne un roboante comizio davanti a 1300 donne, sempre alla Camera) in cui sensibilizzare gli italiani circa un nuovo modello di donna emancipata: lei, Laura Boldrini, una signora che fa politica.
ABUSO DI RUOLO
Addio, insomma, all’evidente abuso di un ruolo istituzionale al fine di intestarsi battaglie che spetterebbero agli organi democraticamente eletti, e il tutto per acquisire una popolarità che purtroppo si è voltata anche in negativo. Addio, soprattutto, non tanto a campagne di sensibilizzazione su temi che si ritengano sottaciuti: ma addio, soltanto, alla loro trasformazione in comizi.
Non si potrebbe definirli altrimenti, visto il linguaggio da lei usato proprio alla Camera: «Agli uomini è richiesto di fare un salto in avanti, di uscire da una cultura che ha ridotto per millenni una donna a una proprietà… devono schierarsi al fianco delle donne… Tanti uomini vogliono bene alle donne, perché rimangono a guardare? Non vi sembra una incoerenza che non facciano nulla? Non dovrebbero essere con noi?… Siamo il 51 per cento… il Paese non può ignorarci più».
MENO REATI
Parole dette alla Camera, appunto. Però di parole ci sono anche quest’altre: «L’ Italia è il Paese europeo che presenta il valore più basso dell’ indicatore degli omicidi; una tendenza che ha interessato gli omicidi commessi da uomini sulle persone del loro stesso sesso, piuttosto che quelli degli uomini contro le donne. Il fatto che tale tendenza non si sia invertita negli anni della crisi testimonia la tenuta del nostro tessuto sociale. Miglioramenti emergono sul fronte della violenza fisica, sessuale e psicologica contro le donne. La diminuzione è trasversale e riguarda anche la violenza da parte dei partner». Parole dell’ Istat. Decidete voi chi di fidarvi.