Il cambiamento climatico non si sa bene cosa sia, ma il «migrante climatico» è pronto: l’Europa sta preparando uno status su misura.
di Aberto Giannoni www.ilgiornale.it
Mentre gli scienziati e i governi mondiali si dividono sulle cause delle evoluzioni climatiche e sui disastri naturali, le istituzioni comunitarie sono all’opera per disegnare questa nuova figura da tutelare e accogliere. Tracce del disegno si trovano nelle pieghe dei documenti, fra una risoluzione e l’altra. L’ultima è stata approvata il 16 gennaio, dedicata a «donne, pari opportunità e giustizia climatica». Le 12 pagine, dopo le canoniche premesse, partono dalla parità di genere per arrivano al dunque: si invita la Commissione e gli Stati europei a «contribuire al Patto globale per la migrazione sicura, ordinata e regolare», nella prospettiva di «salvaguardare la giustizia climatica riconoscendo il cambiamento climatico come motore della migrazione».
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Non solo guerre e violazioni dei diritti umani dunque. Unendo i burocratici trattini che vengono disseminati nelle carte europee, si potrebbe arrivare a codificare il diritto umano di migrare a causa del clima, con il corrispondente dovere di accogliere le «persone sfollate a causa dei cambiamenti climatici» (sempre il punto 20 della risoluzione). Questo, almeno, è il timore di chi ha votato contro, come il deputato europeo Stefano Maullu, che parla di un «tentativo piuttosto maldestro di introdurre lo status di rifugiato climatico, con conseguenze oggi nemmeno immaginabili».
Le prospettive di mosse simili, il deputato milanese di Forza Italia le immagina eccome: «Il provvedimento – prevede – getta le basi per un’ulteriore ed enorme nuova apertura delle frontiere europee già in grave difficoltà». Inutile dire che secondo questa analisi, il peso destinato a gravare sulla «frontiera» meridionale dell’Europa, quella mediterranea, sarebbe enorme. «Chiunque provenga da territori colpiti anche solo da siccità o desertificazione avrebbe diritto allo status di rifugiato» avverte Maullu, e l’Italia «sarebbe ovviamente il Paese più investito dal problema».
Previsioni allarmanti, per la verità, sono state evocate anche al recente G7 dei ministri della Salute, a Milano. Mentre Ong e ambientalisti accreditano scenari apocalittici ricondurre ogni disastro naturale all’azione dell’uomo, sopratutto se occidentale, un studio di Environmental Justice foundation profetizza che il boom dei flussi migratori darà vita a «forti tensioni politiche, sociali ed economiche», e l’annuale rapporto Lancet countdown calcola in un miliardo i rifugiati climatici in giro per il pianeta da qui al 2050, mentre per l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (un tempo guidato dalla attuale presidente della Camera, Laura Boldrini) entro il 2050 i profughi ambientali potrebbero essere addirittura 200-250 milioni.
Opposto il punto di vista della Lega, che ha votato contro, e del suo segretario Matteo Salvini, che da deputato europeo ieri ha parlato della risoluzione ad Agorà, addebitando a una deputata svedese della sinistra («col voto del Pd e dei 5 Stelle») la paternità di questa iniziativa che apre le porte agli eco-rifugiati. E non è andato troppo per il sottile Salvini: «Cos’è il migrante climatico? Dove va? Se uno in inverno ha freddo e in estate ha caldo migra? Siamo seri. Ne abbiamo già tanti. Il migrante climatico è anche uno di Milano a cui non piace la nebbia?».