Fabio Pavesi per “La Verità”
Se fosse una qualsiasi azienda l’Inps avrebbe già portato i libri in Tribunale. Ma l’Inps non potrà mai fallire. È l’ente pubblico che intermedia i flussi delle pensioni degli italiani e lo Stato ne garantisce l’esistenza. Magra consolazione però, dato che se si guardasse al pianeta previdenza con gli occhi dei conti dell’Inps ci sarebbe poco di cui gioire. Ormai è certo che il 2017 si chiuderà con l’ennesimo buco di bilancio.
L’ultimo aggiornamento delle previsioni colloca il rosso a circa 6,3 miliardi. Ma quel che è peggio è che di nuovo dopo il 2012, l’anno dell’incorporazione dell’Inpdap, il disastrato ente dei dipendenti pubblici, il patrimonio finirà in territorio negativo per la bellezza di quasi 8 miliardi. Un segno tangibile del profondo squilibrio finanziario dell’ente che governa i flussi di pensione. I dati sono tanto più significativi perché sono peggiori rispetto alle stime negative fatte a settembre scorso, pari a circa -5,5 miliardi.
C’è uno squilibrio mai sanato e che durerà ancora per lunghi anni tra i contributi che l’Inps incassa e le pensioni da pagare. La classica forbice tra entrate e uscite che produce perdite miliardarie ogni anno e che divora il patrimonio. Con lo Stato che non potrà che ricapitalizzare, iniettare denaro via anticipazione di cassa che diventano debito per l’Inps. Un debito che non verrà mai ripagato. Il film dell’agonia dell’Inps del resto è nei numeri. L’ente disponeva di oltre 40 miliardi di patrimonio nel 2011.
Oggi le perdite a go go l’hanno del tutto prosciugato. Del resto senza contare la pura assistenza, cioè le provvidenza del welfare senza copertura contributiva (assegni sociali, invalidità civili, indennità di accompagnamento, cassa integrazione eccetera) che vale circa 80 miliardi ed è finanziato dall’erario, anche le gestioni pensionistiche boccheggiano. Quasi tutte le gestioni (con la sola eccezione dei parasubordinati in forte attivo e dei lavoratori dipendenti in equilibrio) accumulano anno su anno deficit imponenti.
L’ex Inpdap, che paga le pensioni dei lavoratori pubblici incorporata nel 2012, e che ha portato un virus da 20 miliardi di deficit nei conti dell’Inps continua a cumulare passivi. Solo nel 2017 secondo le previsioni, lo sbilancio tra contributi versati dalle amministrazioni pubbliche e pensioni in pagamento sarà di circa 7,9 miliardi.
La gestione degli artigiani vedrà un buco di 4,6 miliardi. Coltivatori diretti e agricoltori contribuiranno al deficit pensionistico per oltre 3,2 miliardi. Senza contare le ex gestioni speciali che sono cronicamente e da sempre in perdita. L’ex Inpdai (ripubblicizzato nell’Inps nel 2003 dopo una fallimentare gestione privatistica), l’ente dei dirigenti d’azienda veleggia ogni anno in media con un rosso di 3,8 miliardi.
La gestione degli ex telefonici produce un passivo annuo di 1 miliardo; l’ex fondo dei lavoratori elettrici ha un buco doppio di 2 miliardi l’anno. E il fondo ex trasporti chiude ogni esercizio con un rosso di 1 miliardo. Pochi contributi a fronte di pensioni quasi tutte calcolate con il sistema retributivo assai oneroso per le casse pensionistiche. A compensare solo in parte la zavorra dei deficit sono i giovani. Partite Iva, co.co.co, parasubordinati che versano e non sono ancora per lo più in pensione.
Ebbene l’attivo arriva ogni anno vicino ai 7 miliardi. E poi oltre ai giovani che finiranno in pensione con il contributivo puro (pensioni al 30-40% dell’ultimo stipendio tra 20-30 anni) a tenere solo in parte in piedi il baraccone dell’Inps ecco mamma Stato. La fiscalità generale vede trasferire ogni anno una cifra che supera da tempo i 100 miliardi. Tra l’altro con una progressione più che esponenziale.
Il trasferimento di risorse dall’erario valeva nel 2012 ben 89 miliardi, nel 2016 si è toccata la cifra di 104 miliardi e per il 2017 si veleggia verso i 108 miliardi. Per lo più Pantalone paga le prestazioni assistenziali dove la contribuzione o non c’è o è ai minimi termini. Sono pensioni sociali, integrate al minimo, assegni di invalidità e indennità varie. È il welfare puro e semplice. Costoso ovviamente, ma necessario.
Ma una parte di quei miliardi, circa 25, sono anticipazioni dello Stato per coprire i buchi previdenziali che abbiamo elencato. Tra l’altro il trend è in accelerazione. Per la ragioneria dello Stato la spesa pensionistica passerà da 264 miliardi del 2017 a 286 miliardi nel 2020 con un tasso medio annuo del 2,7%. Con il Pil che cresce a valori dimezzati, la spesa pensionistica è fuori controllo.
E non è un caso che nel bilancio tecnico predisposto dagli attuari si paventi una situazione da brividi. Le perdite si cumuleranno anche nei prossimi anni a ritmi tra gli 8 e i 12 miliardi e questo vuol dire che nel 2023 il passivo patrimoniale dell’Inps arriverà a valere oltre 56 miliardi. Pagherà come sempre Pantalone la lunga traversata nel deserto dell’ente pensionistico italiano.