di Aldo Grandi
Che la pietà sia la prima a morire nei tempi cruenti di una guerra civile non solo è verità, ma anche qualcosa di più. Che, però, a distanza di oltre settant’anni lo stesso sentimento debba ancora una volta essere stuprato in nome di un presunto e ridicolo diritto di satira, non soltanto è una vergogna, ma un reato.
Pochi giorni fa, in Tv, Gene Gnocchi, commentando alcune immagini che ritraevano un suino intento a rovistare tra i rifiuti solidi urbani della capitale, l’aveva paragonato a un maiale femmina, per di più di nome Claretta Petacci, l’amante di Benito Mussolini, uccisa insieme a lui a Giulino di Mezzegra ed esposta appesa a testa in giù a piazzale Loreto insieme al duce e ad alcuni gerarchi e fedelissimi fascisti. Pare, dicono coloro che hanno visto la trasmissione, che lo stesso conduttore e anche il pubblico abbiano riso, così, come se si avesse ascoltato una barzelletta e non, come, invece, è avvenuto, una vera e propria bestemmia. A chi, poi, glielo ha fatto notare, criticandolo, Gnocchi ha rivendicato il diritto a fare satira perdendo l’occasione per chiedere scusa e ammettere di aver commesso una imperdonabile idiozia. Storica, ma, soprattutto, umana.
Claretta Petacci era una donna. Innamorata del suo uomo al punto da preferire morirgli accanto piuttosto che scegliere di vivere. Uccisa senza alcun processo – dal quale, ovviamente, sarebbe uscita assolta – e massacrata come un cane solo perché amante dell’uomo, all’epoca, più odiato d’Italia, colui che, solo cinque anni prima era stato, probabilmente, il più amato. Si conoscevano da quando lei aveva vent’anni, ma aveva cominciato a scrivergli lettere di elogio ed entusiastica devozione già all’età di 14 anni. Divenne la sua amante e con lui restò fino alla fine. Come hanno ben sottolineato Edda Negri Mussolini ed Emma Moriconi nel libro Donna Rachele mia nonna, presso l’archivio centrale dello Stato a Roma ci sono, custodite, decine e decine di lettere appassionate scambiate tra i due e non c’è dubbio che quella tra il dittatore e la ragazza romana sia stata una tra le più incredibili e forti storie d’amore di sempre. Una storia travagliata, per certi versi apparentemente assurda per via di quella sostanziale differenza di età – lei nata nel 1912, lui, il duce d’Italia, nel 1883 – ma fatta di una dedizione pressoché assoluta culminata nel sacrificio, cosciente, della propria stessa vita.
Non bastò, ai partigiani, di fucilare Benito Mussolini, colui che, a onor del vero, aveva condotto il Paese, per ragioni di prestigio personale e non solo, alla rovina e alla tragedia. Avrebbero potuto benissimo evitare di uccidere anche lei, ma, evidentemente, non dovevano esserci testimoni di quel che accadde quel giorno, il 28 aprile 1945 quando, Italia ormai allo sbando e guerra finita alle porte, Benito Mussolini venne riconosciuto nonostante il maldestro tentativo di camuffarsi da soldato tedesco con tanto di elmetto e pastrano indosso.
A noi che il fascismo lo abbiamo masticato sin da quando cominciammo a cercare di voler capire – non accontentandoci delle versioni fornite dai libri di storia o dai rappresentanti politici dell’arco più o meno (in)costituzionale – non tanto se gli italiani erano stato o meno fascisti quanto, piuttosto, perché così tanti poterono esserlo, le parole di Gene Gnocchi sono apparse grottesche ancor più che offensive poiché, effettivamente, l’offesa colpisce e ferisce, in genere, a breve distanza temporale dagli eventi che l’hanno cagionata lasciando, semmai, molto tempo dopo, più spazio all’amarezza che all’invettiva. Ma oltre che grottesco, è il cattivo gusto che lascia instupiditi, attoniti, basiti poiché non se ne ravvisa, a quasi un secolo di distanza, non solo l’utilità, ma il nesso logico. Cosa c’entra un maiale a spasso per le discariche abusive di Roma con una donna che è morta facendosi uccidere piuttosto che abbandonare l’uomo che amava?
In un’epoca in cui si celebra, in amore, tutto e il contrario di tutto, nessuno che, con onestà intellettuale, abbia, almeno, ammesso che la storia tra il duce e la sua amante è stata, sotto il profilo affettivo, la rappresentazione perfetta di come, in fondo, per secoli le donne avevano concepito l’amore per il proprio uomo. Tempi lontani, certo e anche, per fortuna, irripetibili. Oggi più nessuna donna – e anche nessun uomo – sarebbero disposti a rinunciare alla vita avendone la possibilità, per seguire l’essere amato. Ma allora non era così e il gesto di Claretta Petacci era in sintonia con l’epoca in cui avvenne e testimoniava un coraggio non comune.
Che cosa c’entra e, soprattutto, cosa intendeva Gene Gnocchi, questo comico sottile e arguto, nel momento in cui, vedendo il suino aggirarsi tra i rifiuti solidi urbani di una capitale, quella sì, ridotta sempre più ad una porcilaia, ha avvertito il bisogno di chiamare in causa il nome di una donna che nella sua vita, breve e, in fondo, nemmeno tanto gratificante agli occhi dei posteri, non aveva mai destato queste similitudini?
Siamo convinti che se a Gene Gnocchi – abituato, purtroppo, ad aprire la bocca in così tante circostanze che, talvolta, finisce, inevitabilmente, col tenerla troppo aperta invece di chiuderla al momento giusto – avessero mostrato le immagini che noi pubblichiamo, avrebbe sentito rivoltarsi le budella nello stomaco per quello che ha detto. Perché una cosa è certa: non si comprende che cosa c’entri sotto il profilo storico, sociale, politico e nemmeno sotto quello della satira, il chiamare in causa una figura che è sempre stata lontana dalle polemiche che hanno caratterizzato gli anni successivi alla fine del conflitto.
Appendere a testa in giù dopo averlo ucciso può essere se non giustificabile, comprensibile se la vittima si è resa responsabile di crimini nefasti e di lutti devastanti come, in effetti, fu per Mussolini, ma lei, quella giovane donna che stava con lui, proprio ‘maiala’, per come si è comportata, non ci riesce di immaginarla come, al contrario è stato capace di fare Gnocchi. Anche perché, onestamente, ci è sufficiente pensare a quelle ultime ore vissute in compagnia di un uomo che aveva già impressa sul volto la maschera della morte, per toglierci ogni tendenza alla fantasia di qualunque genere. Una tragedia italiana, altro che maialate o porcate che dir si voglia.
Abbiamo letto che sono già pronti gli esposti da inviare all’ordine dei giornalisti affinché vengano adottati provvedimenti nei confronti del giornalista Gnocchi. Noi che, a onor del vero, su questo fronte non siamo, modestamente e sinceramente, gli ultimi arrivati, riteniamo che sia ridicolo anche questo atteggiamento che va a fare il paio con quello che, contro di noi e la Gazzetta, utilizza l’universo del PUD (pensiero unico dominante). Noi pensiamo che ancor più che un provvedimento dell’ordine professionale, basti, in questo caso, l’intelligenza stessa di Gene Gnocchi che abbiamo conosciuto, sia pure per un pomeriggio, questa estate a Pietrasanta. Egli stesso, a nostro avviso, si è reso conto di aver commesso un inutile, madornale errore di presunzione, convinto di poter dire sempre tutto e che quel tutto che dice sia sempre una sorta di Verbo. Un po’ come l’alpinista o l’esperto nuotatore che, troppo fiduciosi nelle loro capacità, dimenticano che l’infortunio si nasconde, spesso, dietro l’eccessiva sicurezza.
Caro Gnocchi, questa volta, realmente, l’ha fatta fuori dal vaso e il problema è che non aveva nemmeno un vaso dentro cui farla, poiché non c’era e non c’è alcuna relazione tra ciò che stava guardando in Tv e ciò che le è uscito dalla bocca. A volte accorgersene e chiedere scusa è il modo migliore per non perdere consensi e guadagnare in simpatia.
QUESTO PERSONAGGIO DA BARACCONE , MA ANCHE FLORIS, CHE HA CONDIVISO DICENDO: E’ UN NOME CHE CONOSCO” LO DOVEVA BLOCCARE SUBITO INVECE DI SORRIDERE DIVERTITO. DIVERTITO DI COSA? SE INVECE UNO DI DESTRA METTIAMO IL COMICO BATTISTA, AVESSE USATO LA PAROLA MAIALA , PER NILDE IOTTICOSA SAREBBE ACCADUTO? LA RIVOLUZIONE. ANCHE SE LEI AMANTE DI TOGLIATTI DIVENNE GRAZIE A QUESTO PRESIDENTE DELLA CAMERA. ALLORA DATO CHE CI HA GUADAGNATO,,LA VERA MAIALA E’ LEI O NO? MA QUESTO NON SI PUO’ DIRESE NO SI PASSANO I GUAI. INVECE SULLA PETACCI, NESSUNA PAROLA DAL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA A QUELL’INFAME DI TOPO GRIGIO GENTILONI..NEL LORO CUORE SONO STATI CONTENTI DELLA BATTUTA. INFAMI.