Ci sarebbe la mano del somalo Osman Matammud dietro ad almeno tredici omicidi commessi in Libia. Lo ha scritto la corte di assise di Milano nelle motivazioni della sentenza con cui i giudici, lo scorso 10 ottobre, hanno condannato il 22enne all’ergastolo con isolamento diurno per tre anni per aver ucciso, stuprato e torturato decine di migranti sequestrati nel campo libico di Bani Whalid.
“Almeno tredici” perché non è stato possibile definire con esattezza il numero. Tradotto? Potrebbero essere molti di più. Inizialmente, secondo il pm Marcello Tatangelo, erano quattro, ma da quanto emerso dal dibattimento sono aumentati. I giudici hanno parlato di “deliberata crudeltà” del giovane responsabile, oltre che degli omicidi, di violenze sessuali nei confronti di “decine di donne” (di cui alcune minorenni) e di punizioni “dolorose e umilianti”. Fatti di “estrema gravità” che per la Corte non possono essere giustificati, come ha sostenuto la difesa, dalle “sue drammatiche esperienze”.
Il 22enne, conosciuto dai connazionali come “Ismail”, era stato arrestato nel settembre del 2016: si era ritrovato nel centro di accoglienza accanto alla Stazione Centrale di Milano con alcune delle sue vittime.
Processo al torturatore di profughi: i racconti
“Ci legava i piedi con il fil di ferro e ci teneva a testa in giù — aveva raccontato il giorno della prima udienza una delle sue vittime, che lo ha riconosciuto —. E se urlavi, ti metteva la sabbia in bocca”.
Ismail — aveva spiegato ancora il teste — era “armato di fucili, coltelli, pistola e bastoni” e picchiava “chi non aveva ancora pagato” per imbarcarsi. Un seviziatore di professione, Ismail, tanto che nel campo di Bani Walid — aveva spiegato ancora il testimone — era stata allestita una vera e propria stanza delle torture dove “mi legava, mi sottoponeva a scariche elettriche finché non svenivo. Quando aveva voglia iniziava a picchiarmi finché non si stancava. Oltre a me nella stanza venivano portate altre persone che uscivano piene di terra e di polvere, sanguinanti e in lacrime”.
Ma il “trattamento” riservato a uomini e donne era diverso. I primi — aveva raccontato ancora la vittima — venivano picchiati e bastonati, mentre alle ragazze — e secondo i pm, anche alle minorenni — spettavano violenze e stupri.
L’arresto in via Sammartini
Sono state proprio due donne il 23 settembre 2016 a riconoscere Matammud nell’hub di via Sammartini. Con l’aiuto di alcuni connazionali lo hanno circondato e consegnato agli agenti della polizia locale, che scavando nel suo passato hanno portato alla luce l’orrore e le accuse di chi ci aveva avuto a che fare in passato.
Dopo l’arresto, invece, Ismail aveva respinto ogni accuse. “Hanno inventato tutto — aveva detto — per una guerra tra clan”.