di Marcello Veneziani
Ma cosa sono mai le fake news che spaventano l’establishment mondiale e che Renzi ha denunciato in apertura della Leopolda? Sono le notizie false e tendenziose come un tempo si diceva.
Non è una novità dei nostri giorni: si chiamava “disinformazia” ai tempi dell’Unione Sovietica, si chiamava manipolazione mediatica o storica negli anni più recenti. La maldicenza, la falsificazione, la disinformazione esistono dacché esiste l’umanità, anzi prima, col serpente biblico.
Qual è allora la novità di oggi? Che tra la disinformazione di regime, la propaganda di partito e il pettegolezzo da ballatoio, la maldicenza da bar, si è insinuata una forma nuova, pubblica e privata al tempo stesso: la bufala in rete. Renzi ce l’aveva con i 5Stelle, perché trattandosi di un movimento cresciuto con la Rete si ritiene che sia cresciuto a suon di fake.
Non mancano episodi che lo confermano anche se certo non bastano a spiegare il successo dei grillini.
Ma il discorso ha assunto una grande rilevanza mondiale da quando c’è Donald Trump, che si ritiene il Re delle fake, una specie di Buffalo Bill nel senso delle bufale. Sarebbe facile dimostrare che le notizie incontrollate, sommarie, imprecise, usate dalla propaganda di Trump si equivalgono almeno alla deformazione mediatica e alla falsificazione usata contro di lui dall’apparato mediatico-istituzionale.
Trump è stato vittima e artefice delle fake news. E per certi versi anche i movimenti populisti in Europa lo sono. Per dare una spiegazione colta, le fake news sono state definite “postverità”, cioè nell’epoca in cui tramonta la verità, restano solo le interpretazioni soggettive.
Ognuno si costruisce la sua verità su misura dei suoi interessi. Vero. Però ci sono da considerare due cose.
1) La prima è che se la rete abbonda di postverità, i media abbondano di pre-falsità, ovvero di falsità costruite a priori, pregiudizi che precedono i fatti e prescindono dai fatti. C’è una vera e propria fabbrica delle notizie corrette e filtrate, dei linguaggi costretti e ipocriti, delle omissioni e delle menzogne organizzate.
La Rete è figlia di questo contesto. Una figlia che si ribella a tutto questo ma poi finisce per somigliare tutto a sua madre.
2) La seconda osservazione invece scende a un livello più profondo. Quando sento filosofi, intellettuali, politici e giornalisti che attaccano le post-verità mi ricordo che sono poi gli stessi che nei loro saggi, nella loro militanza, nella loro professione e nella loro esperienza, hanno sempre rifiutato di credere all’esistenza di una verità oggettiva, riconosciuta e universale.
Hanno sempre sostenuto che la verità non esiste, è un retaggio della tradizione e della religione, perché le verità sono tante quante sono gli uomini, e di solito rispecchiano i rapporti di potere, servono al potere. Perché, come diceva Mar e ripeteva Gramsci, le idee dominanti sono sempre le idee della classe dominante.
Dunque, la verità non esiste. Da questo rifiuto è discesa la condotta dei nostri anni dove tutto è “a modo mio”: non mi devo attenere a una verità e a un canone, ma vivere secondo i miei diritti e desideri. Questa in fondo è l’eredità del ’68.
Ora, invece, sorge un nuovo bigottismo, un nuovo clericalismo, che liquida come postverità sia le bufale bell’e buone sia le interpretazioni o addirittura i fatti che non rispecchiano l’ideologia dominante, il pensiero unico (che è una definizione sbagliata perché se un pensiero è unico, e uniforme, non è un pensiero ma un comandamento). Il nuovo bigottismo clericale somministra ai sudditi una rete di falsità prefabbricate.
Torno alla realtà d’oggi. Non so se siano peggio le bufale di cui si è nutrita la rete e che ha nutrito il grillismo o le bugie, le promesse mancate, i raggiri e gli annunci da piazzista di Renzi e dei suoi dirimpettai.
È malapolitica in ambo i casi.
Infine un appello animalista e agroalimentare: è già falso e fuorviante definire bufale le notizie false. Smettetela di diffamare le bufale, animali innocenti e mozzarelle deliziose.