(MOVISOL) Uno studio presentato la settimana scorsa dall’Ufficio Statistiche sul Redditi e le Condizioni di Vita di Bruxelles (SILC) per il 2016 indica che il 23,4% della popolazione nell’UE, 117 milioni di persone, vive già in condizioni di povertà o rischia a breve di rientrare in questa categoria.
Dal 2008 la percentuale non è diminuita. Anche se è scesa in alcuni Paesi dell’Europa Orientale, questo è controbilanciato da un aumento significativo della povertà in Irlanda, Spagna, Italia, Cipro e ancor più drammaticamente in Grecia, grazie alla politica di austerità della Troika.
Anche se la situazione è generalmente nota, e confermata per il nostro Paese dai dati dell’ISTAT, i dati per la Germania, che viene considerata generalmente un Paese ricco, sono a dir poco stupefacenti. Stando al SILC, il 19,7% dei tedeschi, quasi 16 milioni di persone, è colpito dalla povertà o dall’esclusione sociale. La condizione più precaria è quella delle famiglie che non riescono a pagare l’affitto, il riscaldamento o le bollette dell’elettricità, né permettersi pasti regolari o elettrodomestici quali la lavatrice (vedi http://www.dw.com/en/poverty-and-social-exclusion-millions-of-germans-on-brink/a-41301832).
Questo dimostra che la strategia “Europa 2020” proclamata dall’UE nel 2010 per combattere la povertà non ha ottenuto alcun risultato. In Germania, in particolare, oltre 3 milioni di persone sono condannate alla povertà permanente a causa del programma Agenda 2010, che era stato annunciato come un programma di assistenza per gli strati socialmente precari della popolazione, senza qualifiche minime o professionali, ma ha gettato nella povertà intere sezioni di lavoratori qualificati, inclusi i professionisti. Il governo tedesco ha provato più volte a spacciare Agenda 2010 come un programma di successo, ma la realtà è che il divario tra il 10% dei ricchi e il 90% dei cittadini con un reddito medio o basso non è cambiato dalla sua introduzione nel 2003.
Gli effetti della crisi finanziaria del 2007 sulla classe media tedesca hanno gettato nella povertà anche questa categoria, in particolare coloro che si erano indebitati e hanno perso il posto di lavoro o non avevano entrate regolari. Questo e altri aspetti hanno provocato dure critiche, da parte delle organizzazioni caritatevoli e di esperti indipendenti, nei confronti del rapporto annuale sulla povertà per il 2016 stilato dal governo, che ha dovuto essere ritirato e rielaborato.
I governi dell’UE, incluso quello di Berlino, pubblicano volentieri i dati positivi sull’occupazione, ma senza tener conto della sotto-occupazione reale di coloro che lavorano solo poche ore alla settimana.
L’UE si è impegnata a eliminare entro il 2020 la povertà che ora colpisce 117 milioni di persone. La Cina intende liberare 42 milioni di cinesi dalla povertà entro lo stesso anno. Dato il successo di Pechino finora e il fatto che invece l’Europa e l’UE nulla hanno fatto di quel che avevano annunciato nei primi sette anni della loro strategia per il 2020, c’è da scommettere che sarà la Cina a riuscire prima nel suo intento (vedi http://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/Europe_2020_indicators_-_poverty_and_social_exclusion).