di Giampaolo Rossi
SHADOW BANNING SU TRUMP
All’inizio sembrava essere solo una voce: Twitter, uno dei più importanti social network del mondo, era entrato a gamba tesa nella campagna elettorale americana danneggiando volutamente Donald Trump e favorendo la sinistra liberal di Hillary Clinton.
I primi sospetti sorsero nel Luglio 2016, quando una serie di tweet pubblicati da Trump sul suo profilo, non erano comparsi sui feed dei follower; come se quei tweet non fossero mai esistiti. Qualcuno sospettò che Twitter avesse messo in atto un’azione di “shadow banning” tecnicamente un “gettare nell’ombra” alcuni contenuti da lui pubblicati così da non farli vedere sulle bacheche dei suoi supporter.
Qualche mese prima la rivista BuzzFeed anticipò il progetto di Twitter di introdurre una timeline algoritmica per ordinare i contenuti; cosa che preoccupò molti per il rischio che un filtro definito a monte (e non più il naturale ordine cronologico) avrebbe deciso quali tweet rendere visibili ai follower e quali no.
In altre parole, gli utenti che avrebbero pubblicato i loro contenuti non avrebbero avuto più la certezza che tutti i loro follower sarebbero stati in grado di leggerli.
Milo Yiannopoulos, eretico pensatore della destra anglo-americana ed esperto dell’universo digital, svelò come Twitter stesse creando proprio una blacklist di account non graditi a cui l’algoritmo avrebbe oscurato i messaggi impedendone la divulgazione; e tra questi, nel settore della politica, gli account conservatori e di destra.
LA CONFESSIONE DI TWITTER
Il sospetto che Twitter abbia manipolato la campagna elettorale Usa, è ora una certezza, per ammissione diretta di Sean Edgett, Consigliere generale della società di San Francisco.
Qualche giorno fa, in audizione alla Commissione Giustizia del Senato americano, il manager ha ammesso che Twitter ha svolto un’azione di censura su alcuni contenuti vitali nella campagna elettorale, ufficialmente per arginare le azioni di spam.
Dopo aver spiegato che Twitter è impegnato “a fornire un servizio che favorisce e facilita il dibattito democratico libero e aperto, per promuovere un cambiamento positivo nel mondo”, ha spiegato che durante la campagna elettorale i tecnici della piattaforma social “hanno contribuito a mitigare l’impatto dei Tweets automatizzati che pomuovevano l’hashtag #PodestaEmails, nato dalla pubblicazione di migliaia di email da parte di Wikileaks” relative a John Podesta il potente capo della campagna elettorale della Clinton.
In altre parole Twitter (dietro la scusa degli spam) ha censurato molti tweet di Wikileaks che trattavano lo scandalo di intrighi e illegalità in cui è stata coinvolta Hillary Clinton ed il suo potente collaboratore.
“Dei circa 426.000 tweet pubblicati in due mesi da 57.000 utenti” ha dichiarato Edgett , “il 25% di quelli che usavano l’hashtag #PodestaEmails e il 48% di quelli che usavano l’hashtag DNCLeaks” sono stati oscurati.
LA BALLA DEI RUSSI
Il manager di Twitter ha rivelato anche che “meno del 4% dei Tweets contenenti l’hashtag #PodestaEmails è venuto da account con potenziali collegamenti con la Russia”; e solo il 2% di quelli con #DNCLeaks.
Se si mostrasse il dato degli account italiani o inglesi che hanno utilizzato questi hashtag, probabilmente ci troveremo percentuali più alte; dimostrazione ennesima che la famosa ingerenza russa nella campagna elettorale di Trump è una balla colossale.
E LA NEUTRALITÀ?
Questa è la prova che Twitter spesso non svolge una funzione neutra nel processo di comunicazione globale; ma entra in campo, si schiera, prende posizioni politiche a favore o contro candidati o battaglie politiche.
D’altro canto Adam Sharp uno dei capi di Twitter e già consulente strategico del Partito Democratico, lo anticipò in un’intervista nel Gennaio 2016; in quell’occasione disse che soldi, endorsement o strutture territoriali “sono ormai secondarie per fornire un messaggio convincente alla base degli elettori” e che strumenti come Twitter avrebbero consentito di “bypassare” gli strumenti tradizionali delle campagne elettorali.
Trump l’ha capito, per questo è stato il candidato presidenziale che ha meno investito in campagne sul mainstream (pur avendo la maggiore disponibilità economica) e ha più lavorato sui social network. Anche Twitter l’ha capito, per questo ha cercato di boicottarlo.