Daniele Capezzone e Federico Punzi hanno fatto un gran lavoro. Il loro Brexit, la sfida (Giubilei Regnani Editore) è molto più di un racconto sull’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. È un libro liberale, che ci racconta, attraverso gli interventi di diversi autori, il fallimento «costruttivista» direbbe Hayek, centralista, si semplifica ora, della costruzione europea.
Ci sono decine di spunti interessanti, approfondimenti inediti, suggestioni.
«Negli ultimi cinque anni, l’Inghilterra ha prodotto più posti di lavoro degli altri 27 Paesi europei messi insieme; ogni giorno Londra crea mille posti di lavoro; il tempo di attesa per trovare lavoro è di tre giorni… Sorprende dunque che il voto per la Brexit non sia vissuto a Bruxelles e nelle principali capitali del continente come una sconfitta, o per lo meno con una preoccupazione: se non riusciamo a far star dentro un Paese come la Gran Bretagna vuol dire che c’è qualcosa che non va».
È il più banale ed efficace rimprovero che in effetti si può muovere all’élite europee. Ma d’altronde, come nota il contributo di Allister Heath, si è anche sottovalutata la portata numerica del Leave. Si dice che i «No» all’uscita abbiano raggiunto il 48% dei voti. Vero. Ma quanto hanno votato per il «Remain» solo per un’avversione al rischio, un desiderio di status quo, un conservatorismo di fondo? Insomma i britannici amano molto meno la costruzione burocratica europea di quanto il voto faccia intendere.
Esattamente il contrario di quanto oggi si spaccia sulla stampa unica. Che instilla il dubbio che oggi gli inglesi voterebbero diversamente. Favoloso il saggio dello storico Niall Ferguson, che pure era per restare, in cui si sottolinea un aspetto della società inglese che forse noi avremmo più attribuito a quella italiana.
«Tradizionalmente i britannici hanno due modi per rispondere al disastro. Le élite sono inclini al panico. Agitano le braccia, indulgono nella lamentela, se potessero ritornerebbero indietro nel tempo e chiederebbero una resa ordinata. La gente normale, al contrario, tende a dare il meglio nelle situazioni peggiori».
Non so se Brexit sia la situazione peggiore di cui parla Ferguson, ma è certo che la tenuta del sistema economico inglese post referendum è stata eccezionale, altro che catastrofica. Fenomenale la battuta che Punzi ricorda di Mario Monti, il quale ha sostenuto come il referendum inglese sia stato «un abuso di democrazia». Dichiarazione incredibile, ma rivelatrice del concetto di democrazia e libertà che hanno le alte burocrazie coltivate in provetta in Europa. Lawson, già ministro della Thatcher, lo fulmina indirettamente quando nota come il peggior difetto brussellese è proprio quello di ritenere di conoscere i nostri interessi meglio di noi stessi.
Un atteggiamento che disgusta il popolo inglese, ma che dovrebbe indignare anche noi. Brexit, la sfida è un concentrato di pensieri liberi che non dovete farvi sfuggire. È la declinazione pratica di tanti di quei principi e libri che proprio in questa piccola biblioteca abbiamo raccontato. La Brexit e le reazioni a questo strappo sono un favoloso laboratorio costruito dalla recente storia per comprendere i confini e le «rotture» di principi e idee liberali.