di Giampaolo Rossi
Più predicano i loro valori progressisti di miliardari gaudenti, più inciampano nell’ipocrisia di quella società patinata che rappresentano.
Hollywood è l’immagine riflessa di questo Occidente trasformato in fiction, eterna sceneggiatura di un mondo stellare e corrotto dove ogni sogno è possibile; dove ricchezza, eccessi, potere, violenza diventano l’unica legge nella giungla di una libertà senza regole; trasfigurazione di uomini e donne innalzati a miti, che in realtà, svestiti i panni degli eroi del nostro immaginario simbolico, svelano le miserie della loro natura e di quella finzione che incarnano.
La storia di Harvey Weinstein, il mega produttore newyorchese che per trent’anni avrebbe abusato sessualmente di decine di giovani attrici e dipendenti della sua società, rappresenta lo spaccato perfetto di quel mondo ovattato della Hollywood liberal, sempre in prima fila a raccontare i mali del mondo e a distogliere lo sguardo sul marcio del proprio di mondo.
Weinstein è il produttore di Martin Scorsese, di Quentin Tarantino e del meglio dell’intellighenzia cinematografica dell’America antropologicamente superiore. Grazie a lui hanno visto la luce capolavori come Pulp Fiction, Il discorso del Re, Imitation Game e mille altri.
Amico di Obama, tra i principali finanziatori della campagna elettorale di Hillary Clinton e del Partito Democratico è l’emblema del progressismo dello star system che sfila contro le guerre di Bush ma rimane in silenzio su quelle di Obama; organizza le crociate contro Trump predicando amore per gli immigrati, sfilando tra i viali lussuosi (e lussuriosi) delle mega ville miliardarie di Beverly Hills dove gli immigrati non potrebbero entrare neppure in ginocchio.
Il Guardian ha contattato 20 registi tra i maggiori d’America per avere un commento sullo scandalo. Nessuno di loro ha risposto. Neppure Michael Moore il logorroico fustigatore della destra americana, emblema cinematografico della sinistra antagonista, il miliardario anti-capitalista, il giudice senza appello dell’America profonda; è solo un caso che stia lavorando per un film contro Donald Trump finanziato proprio da Weinstein?
TUTTI SAPEVANO – A Hollywood tutti sapevano e tutti hanno taciuto.
La giornalista Sharon Waxman ha denunciato su The Wrap che già 13 anni fa, nel 2004, lei aveva condotto per il New York Times un’inchiesta sui presunti abusi di Winestein che arrivava fino all’Italia e vedeva coinvolta la Miramax guidata allora da Fabrizio Lombardo che, lei afferma “non aveva un’esperienza cinematografica e il suo vero lavoro era quello di curare, tra le altre cose, le necessità femminili di Weinstein”.
L’inchiesta fu affossata su dirette pressioni del produttore (grande inserzionista del giornale) e di alcune star di Hollywood, tra cui Matt Damon e Russell Crowe.
Meryl Streep, una della più grandi attrici di tutti i tempi trasformatasi in Grillo Parlante dell’intellighenzia liberal americana, spietata critica di quell’America volgare e di destra che i miliardari di Hollywood detestano, paladina del femminismo progressista, solo ora ha condannato Harvey Winestein. Non si può biasimarla visto che nel 2012, ricevendo il Golden Globe Awards per quel capolavoro di recitazione che fu The Iron Lady, definì pubblicamente il suo produttore “God”, Dio, nell’imbarazzo compiaciuto della divinità presente in sala.
Oggi ammette che il suo Dio è stato “disgustoso”.
I pruriti femministi della stupenda attrice impegnata sono pero rimasti in silenzio di fronte ad un altro caso clamoroso: quello di Roman Polansky, il regista icona dei liberal radical-chic ancora sotto processo per diverse violenze sessuali ai danni di ragazze minorenni: la prima nel 1977, su una bambina di 13 anni nella casa di Jack Nicholson; reato per il quale fuggì dagli Stati Uniti e riparò in Francia.
Fu lei a guidare la standing ovation che Hollywood gli tributò per l’Oscar vinto nel 2003, nonostante il regista fosse fuorilegge. E fu sempre lei ad esprimere solidarietà al regista in carcere nel 2009 carcere.
PEDOFILIA DI HOLLYWOOD
L’arte più grandiosa non è mai morale. E nessuno che si commuove davanti al capolavoro struggente de Il Pianista potrebbe ridurne la grandezza per il fatto che il suo regista è un pedofilo.
Ma ciò che non è tollerabile è quando Hollywood ed il sistema di potere che rappresenta, pretende di giudicare la moralità degli altri.
Quando nel 2004 la regista Amy Berg realizzò Deliver Us from Evil, il film documentario su Oliver O’Grady, il prete cattolico che confessò atti di pedofilia su almeno 25 bambini californiani, Hollywood si mostrò scandalizzata e indignata tanto da candidarla per una nomination degli Oscar.
Ma quando otto anni dopo, la stessa regista realizzò “An open secret” sulla pedofilia ad Hollywood, soprattutto verso giovani attori dai loro registi e produttori, non trovò nessuno disposto a distribuirlo.
Cane non mangia cane, qualcuno dirà: vero. Ma almeno i cani non hanno la pretesa di fare i moralisti come l’élite progressista e di sinistra di Hollywood.