Un articolo apparso sul New Yorker ha causato un’onda piuttosto vibrante di reazioni in Italia, soprattutto sui social. L’autore si chiede perché in Italia esistano ancora monumenti del periodo fascista. Il simbolo dell’indignazione del magazine statunitense è il Palazzo della Civiltà Italiana all’Eur di Roma. E le frasi del regime fascista che ancora campeggiano sui monumenti italiani, non solo a Roma. Il New Yorker quindi ricorda l’enorme presenza di simboli fascisti in tutta Italia, soprattutto a Roma “come ad esempio all’Eur” sottolineando come in altri paesi europei ci sia stato un preciso impegno per rimuovere elementi di una storia “razzista e sanguinosa”, mentre in Italia, questa l’accusa, “alcune opere sono state perfino restaurate”.
L’articolo è piuttosto duro con l’architettura del periodo fascista in Italia. Lo scrive Ruth Ben-Ghiat, professoressa di storia Italiana all’Università di New York. Il Palazzo della Cultura è bollato come “Una reliquia di un’aberrante aggressione fascista” erroneamente celebrata in Italia come “icona modernista”.
Quindi il New Yorker si chiede: “Perché gli Stati Uniti si sono impegnati in un processo di smantellamento dei monumenti relativi al suo passato, la Francia ha rinominato le strade relative al politico con legami nazisti Marshall Pétain e invece l’Italia non fa nulla?”. Cita tra gli altri il museo di Predappio e le ultime parole della presidente della Camera Laura Boldrini, intenzionata alla rimozione di simboli relativi al fascio, chiedendosi infine quando l’Italia si impegnerà concretamente nella cancellazione dei resti quell’oscuro passato.
L’articolo ha scatenato un acceso dibattito sulla pagina Facebook del magazine, con diversi commenti di italiani che hanno cercato di replicare all’autorevole magazine, tra i più patinati al mondo: “Gli italiani e gli americani hanno un concetto di storia nazionale profondamente diverso” è quello che si legge in una delle repliche più argomentate, e apprezzate. “Possiamo capirlo, non avete una storia così antica […] Noi proteggiamo e capiamo la nostra storia”. Mentre molti commentatori italiani semplicemente sottolineano un fatto: in Italia non siamo abituati a distruggere la storia e il nostro passato. “Sono cose che l’Isis fa”.
Il finale dell’articolo esprime più o meno lo stesso concetto. Qualche riga dedicata alla difesa del senso di questi monumenti. Le parole sono di Rosalia Vittorini, capo della Docomomo, associazione che si occupa della conservazione dei complessi urbani. Alla domanda cosa sentono gli italiani a vivere tra i ricordi della dittatura risponde semplicemente: “Perché pensate che dovrebbero pensare qualcosa?”. Le nostre città sono piene di memorie, di tracce del nostro passato. Positive o meno. Qualcosa che negli Usa è difficile comprendere. E almeno questo un professore di storia e cultura italiana dovrebbe comprenderlo. AGI