Cassazione: No ergastolo a moldavo che uccise il figlio, “era adottivo”

Uccise il figlio ma siccome era adottivo non merita l’ergastolo: lo ha stabilito la Corte di Cassazione accogliendo il ricorso della difesa di Andrei Talpis, 57 anni, originario della Moldova, che la notte del 26 novembre 2013, a Remanzacco (Udine), colpì mortalmente con un coltello da cucina il figliastro di 19 anni. Lo riferisce oggi Il Messaggero Veneto. Con questa diversa valutazione della Cassazione – sentenza annullata senza rinvio – la vicenda per Talpis potrebbe chiudersi in maniera diversa per quanto riguarda la pena da scontare cioè con una condanna tra i 16 e i 20 anni.

L’uomo era stato condannato alla pena massima inflittagli dal Gup di Udine nel 2015 e confermata dalla Corte d’assise d’appello di Trieste nel 2016. Ora tutto dipenderà dalla valutazione che del caso darà la nuova giuria. Sull’imputato, in carcere, pende anche l’accusa di tentato omicidio della moglie Elisaveta, sua coetanea e connazionale. Era stata proprio l’ennesima violenta lite tra i genitori a spingere il figliastro a frapporsi tra loro, quando subì la coltellata mortale.

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Moldavo violento uccide il figlio, Strasburgo condanna l’Italia

Un ragazzo è stato ucciso dal padre violento e le autorità italiane non hanno fatto abbastanza per evitare l’epilogo di una drammatica vicenda domestica. La Corte europea dei diritti umani ha condannato il nostro paese che non ha “protetto una madre e suo figlio” e in particolare “non ha adottato tempestivamente le misure” necessarie “dopo una denuncia per violenza coniugale”. La condotta delle autorità, si legge, ha creato “una situazione di impunità favorevole alla reiterazione di atti di violenza che hanno poi portato al tentato omicidio” della donna “e alla morte del figlio”.

La decisione della Corte è relativa alla vicenda di Elisaveta Talpis, una cittadina romena residente a Remanzaccio, che dal giugno 2012 aveva subito ripetute aggressioni dal marito violento (un moldavo con passaporto rumeno, Andreiu Talpis, 49 anni, che ha ucciso il figlio Ioan, di 19 anni, con una coltellata al cuore nel novembre 2013, ndr) .

Il 19 agosto, in particolare, la donna era stata minacciata con un coltello e costretta ad avere rapporti sessuali con amici del marito. Dopo l’intervento delle forze dell’ordine e le cure ricevute in ospedale per lesioni multiple, la signora era stata ospitata da un’associazione dedita all’assistenza delle vittime di violenza. Dopo 3 mesi, però, Talpis -come si legge- sarebbe stata costretta a lasciare la struttura e solo dopo aver dormito in strada avrebbe trovato una sistemazione presso un’amica. A settembre, una nuova denuncia nei confronti del marito. Il 4 aprile 2013, la donna “è stata ascoltata per la prima volta dalla polizia e ha modificato le proprie dichiarazioni alleggerendo le accuse” nei confronti del marito. La situazione è precipitata alla fine dell’anno.

“Il 25 novembre 2013 la signora Talpis ha chiamato di nuovo la polizia per una lite con il marito, portato in ospedale in stato di ebbrezza. Dopo essere stato dimesso”, l’uomo “alle 2.25 è stato fermato in strada e identificato mentre camminava ubriaco. E’ stato multato e gli è stato permesso di tornare a casa. Attorno alle 5 del mattino, armato di un coltello da cucina è entrato nell’appartamento abitato dalla famiglia e ha aggredito la donna. Ha accoltellato suo figlio, che aveva cercato di separare i genitori”. Il ragazzo “è morto per le ferite riportate”. La madre è stata ripetutamente colpita al petto. L’assassino è stato condannato all’ergastolo a gennaio del 2015.

Sulla base degli atti, la Corte -con 6 voti contro 1- ha ritenuto che sia stato violato l’articolo 2 (diritto alla vita) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. All’unanimità, il collegio ha decretato la violazione dell’articolo 3 (Proibizione della tortura) e, con 5 voti contro 2, ha ravvisato la violazione dell’articolo 14 (Divieto di discriminazione) abbinata agli articoli 2 e 3.

Le vittime “hanno vissuto in un quadro di violenza tanto grave” da giustificare la definizione di “maltrattamenti”. Secondo la Corte le autorità italiane non hanno operato in maniera adeguata e, in particolare, hanno agito in maniera “incompatibile” con l’articolo 3 della Convenzione. La signora “è stata vittima di discriminazione come donna”, afferma la Corte stigmatizzando “l’inazione delle autorità che hanno sottovaluto la violenza in questione e essenzialmente l’hanno avallata”.  ADNKRONOS