Libia: le milizie sparano, i barconi ripartono

Scontri a Sabrata per dividersi i soldi italiani. I trafficanti tornano sulle coste africane

Libero 23 Sep 2017 MIRKO MOLTENI

Aleggia pure l’Aids sull’immigrazione clandestina dalla Libia. Così avverte il direttore delle forze di contrasto all’immigrazione clandestina dell’oasi di Kufra, Mohammed Ali Al Fadhil: «Di recente la Mezzaluna Rossa locale ha svolto le analisi del sangue su 1.050 migranti illegali presenti a Kufra. È emerso che in 400 hanno il virus dell’Hiv. Molti altri hanno l’epatite B. Venivano per la maggior parte da paesi con un basso livello di istruzione e sono stati tutti rimpatriati».

In altre parole significa che, in quel gruppo di migranti esaminati dal corrispettivo islamico della nostra Croce Rossa, il 40% avrebbero potuto portare l’Aids in Europa, per tacere di altri morbi. Era prevedibile, anche se «non sta bene» ricordarlo, che i clandestini in arrivo dalla fascia subsahariana si rivelassero pericolosi in termini sanitari, data la diffusione dell’Aids nel continente nero.

L’oasi di Kufra, posta nel Sahara, a Nordest del Tibesti e vicino ai confini di Sudan e Ciad, è uno dei primi argini. Al Fadhil ha chiesto però che i governi stranieri aiutino a migliorare la sorveglianza: «Si aprano centri sanitari e di sostegno alle forze che combattono il fenomeno dell’immigrazione illegale nelle zone di confine, come al Jaghbub, al Qatarun, al Shati, Sebha e Ghat. È necessario aiutare le forze a controllare i confini meridionali della Libia con auto e mezzi e anche darci la possibilità di curare i nostri uomini, spesso feriti in sparatorie con i contrabbandieri. Bisogna pagare i militari che vanno a lavorare in pieno deserto, con stipendi elevati per motivarli». Insomma, la sicurezza si paga. E attorno a tale nodo si starebbe giocando una partita non meno sporca di quella che nel 2011 portò alla guerra civile che rovesciò il colonnello Gheddafi annullando gli accordi stretti a suo tempo dall’Italia con Tripoli sia in sorveglianza anti-clandestini, sia in concessioni petrolifere all’Eni.

Si sa che il governo italiano s’è accordato col governo di Tripoli del presidente Al Serraj. Roma avrebbe fornito denari e mezzi alle milizie che agiscono per conto di Tripoli a Sabrata, per esempio il gruppo di Anas Al Dabbashi, che avrebbe ricevuto 5 milioni di euro, a patto di non far partire i migranti. Ora, a Sabrata le milizie prendono a spararsi fra loro proprio mentre si attende che il governo italiano intensifichi i rapporti con l’altro governo libico rivale di Tripoli, quello di Tobruk, il cui generale Khalifa Haftar visiterà Roma martedì prossimo. Da 5 giorni quelli di Al Dabbashi combattono contro i gruppi della accolita Operation Room, guidata da Omar Abdul Jalil, che secondo i suoi nemici avrebbe dalla sua estremisti salafiti. In teoria tutti sottoposti a Tripoli per far la pelle all’Isis, in pratica rivali fra loro per soldi.

Da Sabrata, del resto, era salpato il barcone affondato in questi giorni al largo di Zuara con un bilancio provvisorio di 5 morti e 90 dispersi, oltre a 30 naufraghi recuperati. A fomentare l’ostilità reciproca delle milizie, si dice, secondo la fonte saudita Arabi 21, agenti segreti inglesi e francesi, allo scopo di sabotare gli accordi con l’Italia, distraendo Roma rinnovando l’emergenza dei profughi e approfittandone per ricacciar fuori l’Eni dalla Libia. I miliziani, su cui Tripoli non ha un controllo ferreo, possono del resto chiudere o aprire i flussi a loro piacimento, in base a chi li paga di più. Perciò l’Italia ha tutto l’interesse a favorire al più presto un’intesa tra Tripoli e Tobruk, preludio a un futuro interlocutore unico titolare della sorveglianza sullo «scatolone di sabbia».