Roma «Un altro nostro concittadino massacrato dai terroristi islamici, amici della Boldrini, sostenuti dalla sinistra italiana».
Intervista a Nicolai Lilin – il giornale
Un j’accuse concentrato in 140 caratteri, digitati a caldo, con la mente che corre lungo la Rambla insanguinata. È la provocazione che lo scrittore di origine russa Nicolai Lilin affida a Twitter. E che ha scatenato le polemiche.
Dopo la strage di Barcellona, perché tirare in ballo Boldrini e «compagni»?
«Prima di esser etichettato come razzista solo perché parlo schiettamente, ci tengo a fare una premessa: anche io sono emigrato in Italia, a suo tempo, dalla Federazione Russa. Conosco e riconosco il valore dell’integrazione. Ma quello che vedo negli ultimi anni non ha nulla a che vedere con l’accoglienza. Far arrivare nel nostro Paese un flusso incontrollato di migranti, a discapito della sicurezza di un intero continente ed in barba alle sue leggi, non basterà a lavare le coscienze dell’Occidente e di personaggi come la Boldrini che, quando iniziò la guerra terroristica in Siria, sbandieravano la tesi dei ribelli moderati. Ma i ribelli moderati non sono mai esistiti, esistono i terroristi. E chi li ha spalleggiati e coperti, oggi, è moralmente responsabile anche del sangue sparso sulla Rambla».
La Boldrini ha cinguettato: «La nostra resistenza sarà più forte della ferocia».
«La Boldrini che parla di resistenza quando ha contribuito a consegnare il nostro Paese agli islamisti? Paradossale. La comunicazione boldriniana incarna la quintessenza dell’ipocrisia. Basta pensare che ha accolto il presidente della Rada ucraina già fondatore di un partito apertamente ispirato a quello Nazionalsocialista, Andriy Parubiy, a Montecitorio. Non ci si può ammantare di pacifismo e poi stringere la mano a simili personaggi».
Sembra determinato. Perché ha rimosso il suo commento dai social?
«Perché ho ricevuto delle pressioni enormi. Il portavoce della Boldrini si è scomodato a contattare la redazione televisiva con cui collaboro. Le lascio immaginare lo scopo della telefonata. Così, per non creare problemi alle persone con cui lavoro, ho cancellato il mio tweet. Ecco la loro democrazia e meno male che il dittatore sarebbe Putin».
Si è sentito minacciato?
«Nonostante le modalità usate per chiudermi la bocca, no. Le minacce della Boldrini non mi fanno paura, ma è giusto tener fuori da questa polemica chi non ha alcuna responsabilità per le mie parole».
E dalla Rete?
«Sono arrivate le offese di chi, da un lato, insulta me e, dall’altro, sostiene una che come vola un’offesa è pronta a querelare».
Dai suoi colleghi scrittori ha ricevuto un pizzico di solidarietà?
«Affatto, ma la cosa non mi ha stupito. Gli intellettuali in Italia sono molto bravi ad indignarsi con chi, a differenza loro, va controcorrente».
Teme intoppi per la sua carriera?
«Non temo per me, ma per l’Italia. Perché se la terza carica dello Stato arriva a intimidire chi esprime delle idee che non le vanno a genio significa che nel nostro Paese la democrazia non gode di ottima salute».
Lei è stato in Cecenia ai tempi della minaccia jihadista. Come siete risusciti a contenere così efficacemente il fenomeno?
«Solo combattendo. Risposte dure e lotta senza quartiere. Questo è l’unico modo per vincere la guerra contro il terrorismo».
E di gessetti colorati e immagini di gattini cosa ce ne facciamo?
«Possono servire a sensibilizzare l’opinione pubblica, a togliere la paura. Ma parallelamente bisogna adottare una strategia di contrasto al terrorismo che sia incisiva. L’Europa non si è ancora attrezzata a sufficienza perciò ci rimangono solo i gattini. E non bastano».
Da ex membro dei reparti speciali, secondo lei, l’Italia cosa rischia?
«Non penso che qui succederà qualcosa, i jihadisti sono folli ma non così stupidi da giocarsi il loro unico trampolino d’ingresso al vecchio continente».