«Il Venezuela galleggia su un mare di petrolio, è tra Paesi con le maggiori riserve al mondo». Questa riga di Alberto da Rin sul Sole 24Ore del 31 luglio può aiutare a capire la vera partita che si sta giocando in Venezuela, dove il governo chavista affronta un’opposizione più che agguerrita, appoggiata dagli Stati Uniti e da mezzo mondo.
Anche l’Iraq galleggiava su un mare di petrolio. E così la Libia. E anche la Siria ne aveva del suo. Parliamo dei Paesi che negli ultimi anni hanno subito un regime-change o quantomeno vi è stato tentato (vedi alla voce Siria). Paesi i cui governi sono stati additati come dittature criminali e buttati giù o tramite guerre o per opera di opposizioni interne (o ambedue).
Non che tali governi non fossero autoritari, certo. Saddam Hussein non era certo un liberale, e il ricordo di quando ha usato armi chimiche contro i curdi (5,000 morti) ricevendone il plauso americano non deve certo essere relegato ai margini della storia.
Né un campione liberale era il Colonnello Muammar Gheddafi, che pure aveva avuto la sfrontatezza di tassare i commerci del petrolio con l’Occidente per costruire scuole e ospedali.
Resta che i campioni della libertà appoggiati dalle bombe Nato che hanno “liberato” il Paese dal Colonnello di seguito non hanno dato una grande prova di sé (tanti di questi hanno poi svelato la loro natura criminale o terrorista).
Né l’Iraq liberato ha visto fiorire la pace duratura, ché è stato consumato per un decennio da uno scontro tra sciiti e sunniti prima inesistente.
Come resta che altri regimi, ben più autoritari di questi, hanno evitato la gogna medico-propagandistica che hanno subito i succitati governi; né hanno avuto in sorte di subire l’intervento “liberatore” da parte delle forze occidentali.
Altro discorso va fatto per Assad, prima considerato un governante illuminato, e come tale ospitato in tutte le Cancellerie europee, poi finito nell’occhio del ciclone fino a essere identificato come un macellaio.
Ciò perché ha resistito con le armi agli zelanti jihadisti scatenati sul suolo siriano, finanziati e armati dalle Petromonarchie del Golfo (a proposito di regimi autoritari…) in combinato disposto con alcuni Paesi occidentali (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia in primis).
Anche qui i media di tali Paesi hanno identificato le forze da loro armate e finanziate come un’opposizione libertaria al regime. Nulla curandosi del fatto che tali forze fossero egemonizzate da altre dichiaratamente terroriste, come l’Isis e al Nusra.
Un gioco che si ripete con poche variazioni di tema in Venezuela, dove il governo di Nicolas Maduro viene indicato come un regime autoritario al quale si oppongono le valorose forze della libertà. Forze che, come detto, godono del sostegno di mezzo mondo, al contrario del governo che invece sta subendo lo stesso trattamento subito in precedenza da Gheddafi e da Saddam Hussein.
Da tempo in Venezuela si affrontano governo e opposizione, e sul campo restano morti e feriti. Una situazione precipitata dopo che la mediazione della Chiesa, che aveva destato qualche speranza, è decaduta.
Si accusa il governo di usare la repressione, ma è vero anche che l’opposizione non getta fiori ai suoi avversari né si cura molto se i suoi ordigni vanno a colpire civili innocenti.
Oggi tale controversia si concentra sulla nuova Costituente, voluta dal governo ma rifiutata dalle opposizioni, che hanno invitato il popolo a disertare le urne, previste per ieri. Una scelta scaltra, perché consente di annoverare tra gli oppositori quanti hanno disertato il voto per motivi altri da posizioni anti-regime.
Nonostante il boicottaggio sembra sia andato a votare il 41.5% degli aventi diritto. Questi almeno i dati forniti dalla commissione elettorale. che vede così la partecipazione di circa otto milioni di persone. Dati contestati dall’opposizione, che invece vorrebbe che il voto sia andato deserto: avrebbero cioè votato solo il 12.5 per cento degli aventi diritto.
Una dimunitio invero poco credibile: basta vedere le tante foto e i tanti video delle file interminabili ai seggi diffuse via web. Ma al di là della documentazione sta il dato: se davvero il governo avesse una presa così esigua sulla società civile non potrebbe reggere un giorno all’immane pressione internazionale cui è sottoposto.
Pressioni che sono aumentate dopo che la sconfitta elettorale di Cristina Kirchner ha perso al governo venezuelano il rapporto con l’Argentina e la caduta del governo di Dilma Rousseff quello con il Brasile. Rapporti che gli avevano consentito di resistere senza eccessive difficoltà alle pressioni pregresse.
Il braccio di ferro è destinato a perdurare, perché quanti dall’estero accarezzano l’idea di un regime change inducono il governo chavista a guardare con sospetto le manovre delle opposizioni, proprio perché agiscono in combinato disposto con i desiderata tali cancellerie.
Ci vorrebbe una qualche mediazione alta, che riesca ad attutire le tensioni e scongiuri il perpetuarsi del conflitto. Ma non se ne vedono all’orizzonte. Anche perché c’è chi spera che il degrado delle condizioni umanitarie, che oggi registra una scarsità di cibo e medicine, e l’aggravarsi dello scontro civile, possano guadagnare consensi all’ipotesi di un regime-change.
Fiaccata dalle tribolazioni, la società civile vedrebbe nella fine dello chavismo una liberazione. Gli Stati Uniti sembrano intenzionati a varare sanzioni. Probabilmente non saranno i soli. Troppi interessi in gioco per sperare in una prossima pacificazione: quel mare di petrolio fa gola a tanti.