Matteo Renzi dice, scrive, tuona sui migranti: «Aiutiamoli a casa loro». Ma quello è un libro, non un atto di governo.
Poi il suo Pd, con il bravo ministro Marco Minniti, e i suoi tecnici, ha reso operativo, e infiocchettato di belle parole, l’ opposto: «Aiutiamoli tutti a casa nostra, facciamoli venire qua, che tutto è pronto, casa, lavoro, moschea». Schizofrenia pura. Se fosse un problema del cervello dei compagni, amen. La questione è che costoro ci governano.
Il documento che vi invitiamo a non leggere è il programma di quel che l’ Italia intende fare da oggi in poi dinanzi all’ invasione di migranti: aprire tutte le porte, invogliare altri ad attraversare deserti, mari procellosi, sottomettersi a schiavisti, perché qui tutto è pronto per accoglierli, dargli lavoro, casa, integrazione culturale e linguistica, assistenza sanitaria, costruirgli moschee idonee per i diversi culti sciiti o sunniti. E se vi viene in mente qualche altro beneficio, optional, supplemento, extra siamo sicuri che in quel decreto governativo c’ è. E se non ci fosse, ad esempio il bonus per le cure termali a Baden Baden, vedrete che, dopo apposita segnalazione, si aggiungerà un comma apposito. Queste intenzioni sono state denunciate come pura follia dalle Regioni governate dal centrodestra (Lombardia, Veneto, Liguria), ma tutto dice che si trasformeranno in una valanga che ci sotterrerà. Sta scritto che si tratta di una bozza, e come tale emendabile. Ma non c’ è da illudersi: si farà.
Infatti non ha bisogno di essere discussa in Parlamento e promulgata dal Quirinale. È, stando a quel che si enuncia nella prefazione, la pura esecuzione del «Decreto legislativo n. 18 del 21 febbraio 2014». Del resto l’ intestazione è di una solennità da piano quinquennale sovietico al tempo dell’ industrializzazione forzata degli anni 30. Chi non si adegua, crepi.
«Ministero dell’ Interno. Dipartimento per le Libertà Civili e l’ Immigrazione. Direzione Centrale per le Politiche dell’ Immigrazione e dell’ Asilo. Gruppo Tecnico di Lavoro Definizione d’ Integrazione». Poi, tutto maiuscolo: «PIANO NAZIONALE INTEGRAZIONE PER I TITOLARI DI PROTEZIONE INTERNAZIONALE». Indi: «Bozza 11 luglio 2017». Se fossimo in un Paese serio, bisognerebbe chiamare gli infermieri perché qualche psichiatra bravo controlli, vista la bozza, i bozzi e i bitorzoli che hanno sul cranio quanti l’ hanno pensata, scritta e poi votata. Siamo in Italia. Niente infermieri. Passerà. È già passata. La conferenza Stato-Regioni, l’ associazione dei comuni (Anci) hanno preso atto: logico, sono compagni. Comanda questo governo con questa maggioranza che esiste solo in Parlamento, mentre nel Paese conta meno del 30 per cento.
Ammesso, e niente affatto concesso, che gli elettori disgraziatissimi di Renzi e soci concordino con questa mostruosa pippa. Tra l’ altro – giova ripeterlo perché magari qualcuno intervenga – in perfetta contraddizione di linguaggio, tono, progetto con Matteo Renzi e le sue dichiarazioni sul «numero chiuso» e sulla situazione «insopportabile». A cui ha dato ragione (a parole) il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni.
Non illudiamoci. Si farà, vedrete. Non che si otterranno i meravigliosi risultati pitturati con i pastelli, cioè una specie di terra fatata dove scorrono latte e miele, i conflitti tra le classi sociali e le diverse etnie sono superati, i musulmani dialogano serenamente con i cristiani, l’ Isis non esiste, le donne islamiche sono rispettate dai mariti, perché grazie all’ integrazione tutto si risolverà, lavoro e casa per tutti, pensioni a ufo e la pace regnerà, para-punzi-punzi-pa.
Non pensavamo fosse possibile che un uomo concreto e pratico come Marco Minniti si prestasse, senza intervenire, ad essere il responsabile politico di un simile ciarpame ideologico. Viene offerto al popolo e imposto per la realizzazione e la conseguente spesa regionale, un programma irrealistico, un miraggio da «homo novus» della letteratura da premio Stalin, un’ utopia fasulla con le ricette insegnate a Mosca all’ Università Lumumba per i leader del Terzo Mondo.
La rossa aurora lì dipinta è falsa. La cosa certa è il dissesto finanziario e sociale che questa sconsiderata apertura comporta e comporterà. Non si fanno cifre, non si elencano le spese supplementari. Si addossa alle Regioni il dovere di fornire i servizi socio-sanitari a chi arriva. E questo è il punto che più degli altri ha fatto scattare l’ allarme. Non solo perché è una scemenza in sé e un lusso di bontà che non possiamo permetterci salvo lo scardinamento di qualsiasi equilibrio, ma per ciò che questo programma sottintende. Traduzione elementare in italiano corrente: chi arriva resta, e bisogna organizzarsi per fornirgli tutti i servizi. Ecco la filosofia politica tragica, il sottotesto di questa mappazza prodotta dalle peggiori scuole di sociologia del Venezuela di Chavez.
Dare medicine a tutti, anche ai clandestini? Ovvio, non siamo cannibali: se uno si ammala va curato. Anche se adesso i pronto-soccorsi degli ospedali pullulano di extra-comunitari con bisogni spesso inventati o esagerati, resta però un dovere di umanità. Qual è il problema, denunciato con vigoria apprezzabile dagli assessori alla salute delle regioni nordiste?
Eccolo: questo «piano» dà per scontato che nessuno sia rimpatriato. Perché non ci sono più clandestini. Non esistono. Nessun irregolare. Si chiede infatti alle regioni di programmare la spesa in base non a chi avrebbe diritto a restare in base alle leggi (la Bossi Fini e quella per l’ asilo), ma in base a un presunto diritto universale inventato. Basta che uno venga qui, e il gioco per lui è fatto.
Welfare a catinelle, e anche noi avremo il Bengodi: secondo la teoria fantastica che grazie al migrante e ai suoi figli nel 2050 tutti avremo un sostanzioso assegno di quiescenza. Insomma: i clandestini diventano tutti regolari e vanno anzi applauditi perché risolvono il problema del calo demografico.
In questa visione estatica, logico che sia vietato usare il termine di clandestini: sia perché è ritenuta una parola offensiva, sia perché anche se uno lo fosse viene subito ribattezzato come persona in attesa di riconoscimento del suo diritto all’ asilo. Qualsiasi desiderio lo abbia spinto in Italia, va sistemato, incluso nella programmazione delle spese sanitarie regionali.
Nel testo si ammette che i «profughi» sono solo il cinque per cento di chi traversa il mare e chiede rifugio. Ma non importa. Chiunque venga è un rifugiato. L’ idea di fondo infatti è quella espressa in una citazione che sovrasta tutto l’ incartamento. Eccola: «Siamo rifugiati, nessuno vuole lasciare il paese suo, siamo scappati per un problema di governo, per non morire siamo scappati, per vivere qua. E abbiamo avuto un documento, però senza casa, senza lavoro, è dura». Siamo d’ accordo: è dura.
Un conto però è la guerra, un conto la persecuzione dei cristiani. Ma se tutti quelli che hanno «un problema di governo» avessero il diritto di essere non solo accolti, rifocillati e poi rispediti in patria, ma di piantare le tende qui, noi italiani potremmo accampare legittimamente una identica pretesa di un visto permanente, con assistenza sociale e sanitaria inclusa, per l’ America. Basterebbe passare a Trump questa «bozza» e ci accoglierebbe come in tutti i questi anni gli Usa hanno fatto con i trasmigratori cubani di Fidel Castro. Che sarà morto all’ Avana, ma da noi vive e ci comanda.
di Renato Farina – – LIBERO