Il governo Pd si occupa solo di leggi ideologiche che spaccano il Paese

Torturati da leggi ideologiche

Non so se sia per merito del governo in carica, del Pd renziano o della Boldrini, ma il Parlamento italiano si occupa solo di leggi ideologiche, che spaccano il Paese e servono a rassicurare la sinistra che ancora esiste.

Ius soli, femminicidio, unioni gay, tortura, solo per citarne alcune di famose e di recenti.

Prendete l’ultima, la legge sulla tortura. Leggo sui giornali dopo la sua approvazione: “La tortura in Italia ora è reato”.

Expo, poliziotto pestato

Scusate, ma volete farci credere che prima era ammessa? Volete dire che nella patria di Beccaria non ci eravamo accorti, per secoli, che praticavamo la tortura perché non c’era una legge e che ora, finalmente inserita, non tortureremo più nessuno?

Quante volte, davanti a casi veri o presunti di abusi e violenze, si sono aperte inchieste giudiziarie, ci sono state condanne. Semplicemente applicando il codice penale vigente.

E se a volte presunti torturatori non sono stati condannati, ciò non è dovuto all’assenza di una legge ad hoc per punirli, ma all’assenza di prove o se volete alle coperture di cui hanno goduto e al giudizio discutibile dei magistrati.

Invece, adesso, dopo il solito refrain “siamo in ritardo, ce lo chiede l’Europa”, abbiamo la legge che nomina esplicitamente la parola tortura.

Saranno contenti pure i delinquenti e reduci che misero a ferro e fuoco Genova per il G8 ma di tutta quella pagina oscura e feroce rimase solo la pagina nera della caserma di Bolzaneto. Dove mi pare che, a parte le tifoserie ideologiche, la giustizia fece il suo corso. E così col caso Cucchi o chi volete voi.

Comunque non era le legge che mancava per punire i torturatori, veri o presunti.

Ma vi invito a riflettere sull’impostura ideologica, la sua falsificazione della realtà, il suo significato intimidatorio. Proviamo a scomporre cosa c’è dietro questa nuova legge, quale meccanismo mentale.

Il punto di partenza è la convinzione che la realtà sia sbagliata e malefica, che la giurisprudenza sia carente e arretrata e debba nascere una norma ad hoc per correggerla. È sempre un caso-limite, una campagna ideologica, a scatenare la richiesta di una legge necessaria, urgente, prioritaria.

Sono le leggi emozionali, scritte su misura per un episodio accaduto, nate per rispondere a un singolo caso amplificato dai media e drammatizzato dai teatranti politici.

La stessa cosa vale in altri casi che riguardano la bioetica e i biodiritti, le leggi proposte mirano a elevare un desiderio soggettivo a legge, mutare un piacere o una libera scelta in diritto, con relative tutele.

Se uccidi una persona c’è già la legge che lo punisce, e poi il giudice applicherà le aggravanti o le attenuanti del caso. No, bisogna inventarsi il femminicidio (come se uccidere un uomo, un vecchio  o un bambino sia meno grave).

E non solo: gli orfani di femminicidio in virtù di una legge per fortuna stoppata, dovrebbero essere più tutelati degli altri orfani. Egualitari a parole, violano il principio elementare della legge uguale per tutti. E ancora, se offendi o aggredisci una persona, bastano le leggi vigenti per punirlo; no, non basta, ci sono reati più reati degli altri, come l’omofobia o l’islamofobia, per esempio.

Queste leggi nascono sempre da un episodio-limite elevato a paradigma: se c’è stato un caso di “tortura”– divenuto leggendario ma ancora controverso nelle sue reali responsabilità – la legge dev’essere subito modificata per adattarsi alle esigenze specifiche del momento.

Usano un’eccezione per colpire la regola. Così si distrugge l’universalità delle norme su cui regge la giustizia. Per rimediare a un caso singolo si trascura l’effetto generale.

Per colpire un caso effettivo o presunto di tortura, si crea uno strumento giudiziario per legare le mani alle forze dell’ordine, per intimidirli a priori, anche quando devono interrogare o spingere alla confessione un criminale, per esempio un delinquente che a volto coperto metteva a ferro e fuoco una città o uno stadio, un assassino o un violento, magari pure clandestino.

Certo, usare le maniere forti coi delinquenti non vuol dire torturare, c’è un limite e un magistrato, in caso, deve cercare di stabilire se quella soglia sia stata superata o no. Ma una legge come quella approvata dal

Parlamento serve solo a dire a priori da che parte sta lo Stato: non dalla parte delle forze dell’ordine ma dalla parte di chi delinque. Senza dire che gli stessi “garantisti” nei confronti dei delinquenti, in altri contesti, fanno i giustizialisti e i giustizieri. La legge sposta l’attenzione del magistrato dal delinquente al poliziotto che l’ha catturato o lo sta interrogando.

Da tenere sotto osservazione è l’uomo in divisa, non il criminale. Una legge come quella sulla tortura esercita una pressione psicologica sui giudici, i poliziotti e i carabinieri per scoraggiarli, sapendo che appena metteranno le manette a qualcuno o lo faranno sedere per interrogarlo potranno essere accusati di averlo torturato.

Se poi a questo si aggiunge il divieto di espellere i clandestini se nel paese da cui provengono è ancora in vigore la tortura, allora siamo alla resa totale.

L’emergenza vera del Paese è che troppi delinquenti restano impuniti; ma per la setta ideologica il problema è la tortura…

Corollario di questa legge come delle altre è la convinzione che se finora la giustizia è stata inefficace o ingiusta, basterà una nuova legge e tutto cambierà; quando si sa che il vero problema è nell’applicazione della legge, nella sua interpretazione, nella sua tempistica.

Invece per loro tutto il problema è che prima nel codice non c’era la parolina giusta.

Ora c’è tortura, e siamo a posto. In realtà siamo a posto per legittimare la loro battaglia ideologica anti-polizia, pro-clandestini, pro-ladri, pro-centri sociali violenti e pro-delinquenti. Ma sul piano della realtà, de, della sicurezza, della giustizia e dell’efficacia normativa siamo a zero.

Marcello Veneziani, Il Tempo 8 luglio 2017