Il politicamente corretto smontato da sinistra
Leggete insieme a me. «Checché ne pensino i progressisti doc, l’insicurezza dei ceti popolari ha una robusta base di realtà (…) Che gli immigrati si concentrino in quartieri periferici, e lascino relativamente tranquilli i ceti medi urbani, è anche esso un dato di fatto.
Che la concorrenza degli immigrati nell’accesso alle prestazioni sanitarie e ai sussidi tocchi soprattutto i ceti popolari, è ancora una volta, un dato di fatto… Quanto alla criminalità e alle paure che suscita, i pochi studi disponibili rivelano che in Europa, il tasso di criminalità medio degli immigrati è quattro volte quello dei nativi (in Italia è sei volte)».
Ecco. L’autore è un sociologo. Un progressista, un uomo di sinistra. Luca Ricolfi scrive quello che abbiamo appena riportato in un libretto caustico, La sinistra e il popolo. Il conflitto politico nell’era dei populismi (Longanesi, 2017).
Consiglio vivamente il capitolo: «Politicamente corretto ed eccesso di civiltà». Non si tratta di un liberale, ma forse della più aspra critica della sinistra liberal dal suo interno.
Esiste un mondo di «buoni» e gli altri sono ai margini.
«Nella storia della cultura occidentale, il politicamente corretto è stato il modo nel quale una parte politica, la parte progressista o liberal, ha preteso di stabilire come le persone dovessero parlare e, per questa via, che cosa dovessero pensare».
Ricolfi è spietato. E continua:
«Innaturale è invitare a non aver paura quando si è attaccati. Innaturale è non provare odio se qualcuno ci uccide la persona che ci è più cara. Innaturale è spingere il rispetto della sensibilità altrui fino a mortificare la nostra. Innaturale è applicare agli animali standard pensati per le persone. Innaturale è modificare artificialmente il lessico di una lingua che si è evoluta per millenni da sé. Innaturale è perdonare sempre. Innaturale è non punire duramente i crimini più atroci. Innaturale è prendere sul serio ogni individuo o minoranza che proclami un proprio diritto. Innaturale è pensare che una comunità non abbia il diritto di decidere chi possa entrarvi».
C’è davvero poco da aggiungere a ciò che scrive Ricolfi. A differenza di Ricolfi un liberale sa però perché la sinistra, i cosiddetti «progressisti», sono caduti in questa trappola fatale.
La loro cultura è costruttivista, determinista. Le loro élite sono sempre state poco pragmatiche e molto ideologiche. Non sono gli ordini spontanei che creano istituzioni o diritto, non sono gli individui che contano in una società, ma le norme e le strutture sociali pensate e ideate da pochi illuminati.
Insomma la sinistra ha nel suo Dna il peccato dell’ideologismo, dello scollamento dalla realtà. Forse mai come oggi tutto ciò è evidente. Il libro di Ricolfi è da tenere in casa e mostrare ai vostri amici progressisti, quando vi prendono per populisti se osate contraddirli sul terrorismo islamico, sull’accoglienza o sui diritti degli animali.
Nicola Porro, Il Giornale 2 luglio 2017