Un milione di migranti in fuga e rischio Isis. La Libia è una bomba pronta ad esplodere

di Guido Ruotolo

Passarono sotto silenzio le dichiarazioni al Comitato parlamentare sull’accordo Schengen del generale Paolo Serra, consigliere militare dell’inviato Onu a Tripoli, Martin Kobler. In quella occasione Serra parlò di «un milione di potenziali migranti» che potrebbero lasciare la Libia, non escludendo l’infiltrazione tra essi di cellule Isis. E indicò nella ripresa economica del Paese la strada per impedire che quelle previsioni si potessero avverare.

Gli sbarchi invece sono proseguiti sempre più numerosi e si attenua, nonostante gli sforzi italiani, la speranza di una stabilizzazione della Libia che aiuti il Paese a tornare sotto controllo di una parvenza di legalità dello Stato, e quindi a lavorare per contrastare il traffico di migranti clandestini.
La situazione è sempre più ingovernabile e la Libia continua a sprofondare nel caos. Quello che è accaduto a Tripoli e in Libia nelle ultime settimane e ancora venerdì scorso nella capitale è terribile. In città ci sono 41 milizie che si dividono il territorio. Due di queste, la milizia del comandante Gnewa del quartiere di Abu Salim e quella di Haitem Tajuri sono state al centro di uno scontro violentissimo con decine di morti.

Dunque, venerdì è scattata la rappresaglia. Gli uomini di Gnewa alla fine di aprile avevano ucciso quattro miliziani di Misurata presenti nella capitale. I loro commilitoni (non i miliziani di Misurata ma i misuratini di Tripoli) reagirono chiedendo alle milizie avversarie di consegnare loro gli assassini.
Non avendo avuto risposte con altre milizie islamiste (El Burki e Il Gruppo Combattente di Hakim Bel Haje) hanno organizzato una vendetta. E venerdì hanno attaccato la milizia di Gnewa.

Scontri furibondi, a combattere con la milizia di Gnewa sono arrivati i rinforzi di Haitem Tajuri che hanno assaltato il carcere di Hadba, sequestrando prigionieri eccellenti – il figlio di Gheddafi Sadi (l’ex calciatore del Perugia), l’uomo forte del regime Abdallah Sanussi, l’ex premier di Gheddafi – che hanno trasferito in un loro carcere, e poi hanno bombardato la prigione di Hadba.

I misuratini di Tripoli con le milizie alleate con le quali avevano tentato l’offensiva militare sono stati sconfitti e sono scappati a Misurata, unendosi agli integralisti che appoggiano il Consiglio della Shura, nemico del generale Haftar.

Il generale Haftar, l’uomo forte della Cirenaica appoggiato dai francesi e dagli egiziani è una delle figure più controverse della Libia. Anzi, sicuramente la sua presenza è da ostacolo per la pacificazione tra la Cirenaica e la Tripolitania.

Il 2 maggio scorso i media di tutto il mondo salutarono come una vittoria l’incontro tra il Presidente del Consiglio Presidenziale, Fayez El Serraj e il generale Khalifa Haftar, incontro che si svolse ad Abu Dhabi.

In realtà, quell’incontro ha ulteriormente indebolito la figura del presidente Serra tra le stesse milizie della Tripolitania che lo appoggiano (o lo appoggiavan). Ma Serraj gode del sostegno internazionale delle Nazioni Unite, della Nato, della UE, della Conferenza africana.

Il generale Haftar chiede di poter governare il Consiglio Presidenziale, di poter avere un ruolo decisivo nella nuova Libia. Ma questo non può concederglielo Serraj che lui stesso è stato eletto da una intesa. Del Comitato di pacificazione.

Mentre tutto questo avveniva, gli aerei egiziani bombardavano in Cirenaica Derna, la roccaforte jihadista. Da alcuni giorni si è sciolto il gruppo Ansar El Sharia, che a Bengasi portò a termine l’attacco terroristico contro il console-ambasciatore americano, uccidendolo. Secondo alcuni, i militanti del gruppo terroristico islamista ormai allo sbando, dopo le retate e le eliminazioni dei dirigenti, sarebbero confluiti in Daesh e nel suo braccio militare, l’Isis.

Ma anche a sud, nel Fezzan, il deserto che confina con la fascia subsahariana dell’Africa, dall’Egitto al Ciad, al Niger, la situazione sta diventando sempre più esplosiva.

Gli islamisti di Misurata da tempo hanno mandato centinaia e centinaia di uomini, la cosiddetta «Terza Forza», a controllare il Fezzan dove si sono ritirati militanti del Daesh dopo aver lasciato Sirte. In questa situazione sono arrivati dal Ciad, dal Niger, dal Mali altri nomadi della tribù Tabu per rafforzare la presenza dei Tabu nel Fezzan.

Come se non bastasse nel Fezzan sono arrivati anche gli alleati del generale Haftar del gruppo “Giustizia e Uguaglianza” del Darfur, Sudan.
Dieci giorni fa, i miliziani misuratini della «Terza Forza» hanno attaccato la base militare Di Brak Al Shati dove erano accampati gli alleati ex Gheddafiani e del Darfur di Haftar. Bilancio 140 morti.

In un territorio sterminato dove nessuno comanda, il Fezzan, i misuratini hanno portato a termine vittorioso una operazione militare giocando d’anticipo. Ma ora anche Misurata deve guardarsi attorno. Secondo le ultime novità è concreto il rischio di un ritorno a Sirte dell’Isis, del Daesh. E questo mette a rischio la stessa sicurezza della vicina Misurata.

La città islamista che può contare sulle milizie più significative e potenti della Libia. Ma Misurata rischia di finire in disgrazia perché il Qatar, suo sostenitore, è finito nel mirino di tutti i Paesi del Golfo, che non vedono di buon occhio la nascita dell’alleanza del Qatar con l’Iran. In questo quadro, non si vede all’orizzonte una stabilizzazione politica e militare della Libia. Anzi i rischi di una “Somalia” a qualche centinaia di chilometri da Roma, dall’Europa, è sempre più concreto.

di Guido Ruotolo per TISCALI.it