Attenzione, fregatura in arrivo. Non solo la Ue vuole che il governo aumenti l’Iva – dal 22 al 24 per cento e dal 10 al 13 per cento – ma pare abbia chiesto a Gentiloni anche di dare una sforbiciata agli sgravi fiscali. Una montagna di agevolazioni che permettono, indirettamente, a contribuenti e imprese di pagare meno tasse.
Stiamo assistendo a una manovra a tenaglia, orchestrata da Bruxelles e con Palazzo Chigi che tace, che punta a mettere in riga quei disgraziati di italiani che non si rassegnano ad obbedire agli euro-diktat, suggeriti dalla Germania. Si dirà: ma perché proprio adesso la Ue vuole infilare la lama nella nostra debole carne? Per comprendere questa accelerazione bisogna rileggere le frasi dei quattro leader europei riuniti lunedì sera a Versailles: Angela Merkel, Francois Hollande, Mariano Rajoy e Paolo Gentiloni. Stiamo parlando dei capi di Stato e di governo che rappresentano le principali economie del Vecchio Continente. Usciti dal summit hanno detto in coro: avanti con l’Unione europea, ma spazio alla flessibilità. Cioè se un Paese non ha voglia di rispettare le regole può serenamente fare un passo indietro. Occhio, non si parla di moneta unica a due velocità, ma di integrazione politica e fiscale a più velocità. Sembra un dettaglio da poco, ma è sostanziale. Il concetto è: l’euro non si tocca, perchè fa comodo ai tedeschi, ai francesi, agli spagnoli e agli italiani che sono attualmente al governo. Semmai, se uno Stato non ha intenzione, ad esempio, di mettere soldi pubblici sul fondo europeo salva-conti corrente – quello che dovrebbe intervenire per proteggere i clienti sotto i 100mila euro in caso di crac – sarà libero di rifiutarsi. Come ripetono in continuazione da Berlino, che non vuole aiutare i correntisti di una banca italiana in difficoltà con gli euro dei contribuenti tedeschi.
Insomma, al vertice di Roma del 25 marzo, finirà l’Europa improntata alla solidarietà e nascerà un’Url: Unione a responsabilità limitata. Ovviamente a uso e consumo della Germania, con un club di privilegiati che detterà la linea e influenzerà le scelte della Bce e un clan di seconde linee, alla mercè dei migliori.
Dove starà l’Italia? Ecco, qua sta il guaio. Gentiloni vuole tenerci nella zona nobile dell’Europa. Peccato che il Belpaese vanti una crescita economia fra le più basse dell’intero continente – ieri l’Ocse ci ha ricordato che anche nel 2018 il Pil salirà di circa l’uno per cento -, un debito pubblico superiore ai 2.200 miliardi, una montagna di sofferenze bancarie difficili da scalare. Senza contare la giustizia lumaca, la burocrazia scandalosa, l’invasione di immigrati e l’instabilità politica che emergerà alle prossime elezioni. Il premier però non vuole restare nella serie B dell’eurozona. E allora qual è l’unica via per rimanere nella massima serie? Far morire gli italiani. Di tasse. Da anni Ue e il Fmi predicano un cambio di rotta del fisco italiano: più tasse sui consumi, meno sul lavoro. E ancora: meno sgravi. Infine: inasprire l’imposta di successione e sugli immobili. Certo Ue e Fmi propongono anche un’aliquota Irpef più bassa. Ma non si è mai visto che la sinistra riduca le tasse sul reddito.
Già con Prodi e Ciampi gli italiani pagarono una manovrona e l’eurotassa per entrare nell’euro. Abbiamo visto i risultati. Dobbiamo soffrire di nuovo? Forse più che lottare per stare nel club dei Paesi migliori è meglio che l’Italia mandi tutti a quel paese.
Giuliano Zulin per liberoquotidiano.it