Ha seguito la scia di Renzi per farsi ricandidare a governatore, concedendo un aeroporto e qualche assessore. Scontato che una volta rieletto avrebbe avuto mani libere: alla ricerca di un futuro politico a 58 anni, Enrico Rossi si traveste da socialista per fare la rivoluzione. Ma lui di socialista ha sempre avuto ben poco. Nato a Bientina, padre camionista, a 27 anni è già un comunistello provetto. Prova a fare il giornalista al Tirreno, ma preferisce la politica. Vicesindaco e poi sindaco di Pontedera dove si appassiona alla battaglia contro il trasferimento della Piaggio. Nel 2000 è assessore regionale alla Sanità ma ancora deve spiegare come sotto il suo incarico la Asl 1 di Massa Carrara sia riuscita a fare un buco da 500 milioni di euro. Da governatore è stato indolore, nessuno se n’è accorto. Ora vuole stracciare la tessera del Pd ma il suo carisma è pari solo al suo tono di voce. Dopo aver fallito in questi anni nell’imitazione piaciona di Renzi, che non è nelle sue corde è tornato a fare quello che è, un comunista (amico dei rom).
Anche se l’interessato nega, non si può non pensare andreottianamente che la causa di tutto questo fiele contro Renzi sia il mancato ottenimento del ruolo di «ministro degli Esteri europeo» che invece è andato a Federica Mogherini. E comunque, ridendo e scherzando, alla tenera età di 67 anni, Massimo D’Alema sposta ancora consensi. È da quando ha 26 anni che bazzica i comunisti e da trent’anni che è in Parlamento. Li ha passati e ripassati tutti: Pds, Ds, Ulivo, Pd, è stato il primo ed unico esponente del Pci (allora già disciolto) a ricoprire la carica di presidente del Consiglio. Dopo essersi masticato tutti, ora la sua vendetta cade sul giovane Renzi, colpevole solo di essere come lui, ma con 25 anni di meno. Mosso più da una sorta di rivendicazione personale nei confronti del fiorentino che da istanze politiche, fa ogni mattina a botte con la sua boria.
Da Bettola con furore, Bersani non ne ha mai imbroccata una. Tra quelli che hanno ottenuto un giusto diritto all’oblio, il primato va a lui. L’uomo che «ha non vinto», che doveva smacchiare il giaguaro e che, invece, ha smacchiato se stesso. Riuscì a perdere elezioni praticamente già vinte ma malgrado questo nel Pd gli permettono ancora di parlare. Bersani che oggi si batte strenuamente per ridare dignità al Pd, non si è accorto che a perdere il rispetto è lui, insieme alla sua faccia: non solo ha gettato ai porci la leadership, ma oggi, nel gran gioco della scissione, si fa manipolare dal gran maestro D’Alema. Un burattino nelle mani di chiunque passi (lo ricordiamo in versione zerbino quando venivano approvate, con i voti del suo Pd, le misure del peggior governo della storia repubblicana, quello di Mario Monti), recita benissimo la parte dell’eterno sconfitto dagli occhi lucidi.
Nel film «L’assemblea di condominio del Pd», dove la comicità si mischia col genere splatter, il ruolo di miglior attore non protagonista va a Roberto Speranza. Salito dalla Basilicata a Roma con la piena, il 38enne «Robertino» si è montato la testa. Dopo il fortunato colpo di diventare consigliere comunale Ds a Potenza a 25 anni, la iella si affacciata subito sul suo cammino: conosce Veltroni che lo nomina nel comitato nazionale dei Giovani Democratici e si innamora di Bersani che sostiene alle primarie, guadagnandosi il seggio in Parlamento. Cattivi presagi. Lo fanno capogruppo Pd alla Camera, ma se ne va stizzito additando Renzi. Oggi crede (solo nella sua testa) di guidare la cordata dei tre tenori verso la scissione. Come il migliore dei parvenu si autoconvince di poter vincere la leadership. E si fa crescere la barba per sembrare più autorevole. Ma non ci casca nessuno.
dal blog di Fabrizio Boschi – – – il giornale.it