1. La crisi dell’ordoliberismo totalitario €uropeo è, nell’accelerazione delle evidenze fattuali, avviata ad una sua fase, per molti versi, finale.
Come avevamo già anticipato il tramonto dell’euro non potrà che essere rabbioso – per il timore di non riuscire a completare in tempo il definitivo ridisegno degli assetti sociali e della stessa “natura umana” che l’oligarchia neo-liberista si era prefisso.
Perciò, questa fase crepuscolare diviene ancora più pericolosa, per le residue vestigia delle democrazie dell’eurozona (e non solo, come testimonia il livore quotidianamente speso contro la Brexit e la ridicola etichetta di “estrema destra xenofoba” affibbiata all’Ungheria di Orban).
2. Che un’organizzazione internazionale dotata di immensi poteri, peraltro acquisiti in violazione delle norme fondamentali della nostra Costituzione (e, naturalmente, non solo), si trovi dinnanzi alla prospettiva di perderli di fronte alla contestazione di fatto da parte del suo substrato sociale (cioè i “popoli” che non riescono più a tollerare il sistematico, intenzionale e programmatico perseguimento della “durezza del vivere”, dell’altissima disoccupazione strutturale, della accentuata distruzione del welfare, concretamente e in modo sempre più vasto), conduce ad una naturale reazione autoconservativa.
Dopo che l’eurozona è vissuta, specialmente nell’ultimo decennio, all’ombra di uno “stato di eccezione” praticamente permanente, e rivelatore del fatto che l’UE-M serve essenzialmente a spostare la sovranità dagli Stati, democratici e pluriclasse, ai “mercati”, segnatamente finanziari e privati, – realizzando con ciò una concentrazione di potere oligarchico che non ha praticamente precedenti nella Storia dell’Europa moderna-, questa reazione autoconservativa tende, e tenderà sempre più, ad assumere caratteri spiccatamente autoritari, rivelando, al contempo, la “costituzione materiale” della costruzione €uropea; vale a dire, gli effettivi rapporti di forza instauratisi all’interno dell’organizzazione internazionale.
2.1. Come conferma anche la vicenda più recente delle dichiarazioni della Merkel sull’€uropa a due velocità, (segno di un’intransigenza indisponibile a qualsiasi mediazione)-, questa costituzione materiale definisce, scontatamente, il dominio continentale della stessa Germania, totalitario in quanto basato sul neo-ordoliberismo.
Un dominio, e non può essere trascurato sul piano storico e della “effettività” dei trattati, sempre però basato sull’appoggio essenziale delle elites ordoliberiste e finanziarie francesi.
Quello che ora emerge come conseguenza prevedibile di questa Costituzione materiale, è che ne discenderà un reazione autoritaria facente capo alla finanza tedesca e, in parte minore ma non trascurabile, francese; da cui l’essenzialità della difficile “partita” che sarà presto giocata nelle elezioni presidenziali francesi.
3. Svolgo allora un richiamo a coloro che seguono l’ipotesi frattalica, che si impernia sulla “omotetia” (v. punto 7) di concatenazioni storiche istituibile tra la sequenza dei fatti svoltisi in Italia nella parte finale della seconda guerra mondiale e la sequenza dei fatti riconoscibile in periodi contemporanei, equivalenti, che sono tutt’ora in corso.
In questa ottica peculiare (non comprensibile per definizione alla sub-cultura degli €uropeisti acritici), una volta trasposto il conflitto intraeuropeo sul piano del dominio della finanza privata (sugli Stati nazionali), la vicenda che, nella seconda guerra mondiale, si era invece svolta sul piano della conquista e dell’occupazione militare imperialista, diviene un deja vu fenomenologico, non meno drammatico dello svolgimento della seconda guerra mondiale, ma caratterizzato dal carattere “farsesco” della ripetizione dello schema.
4. Perché farsesco?
Perché non solo questo è il carattere delle “ripetizioni” cicliche secondo l’intuizione di Marx (riferita ai vari “Napoleoni”), ma anche perché la finanziarizzazione del conflitto, privatizzato negli interessi-guida (come già, peraltro, nella II guerra mondiale si poteva dire rispetto al complesso militar-industriale dei monopoli tedeschi interessati dal riarmo di Hitler), pone la questione sul piano del gigantesco scontro tra creditori e debitori, in un balletto, spesso assurto a toni ridicoli, che vede protagonisti politici che nulla più rappresentano che burattini dei poteri finanziari e oligopolistico-industriali, come tali fortemente finanziarizzati, per lo più resi occulti alle masse.
I “burattinai”, a loro volta, sono caratterizzati dall’uso prevalente di strumenti di guerra orwelliani, cioè posti sul piano del condizionamento del linguaggio e del pensiero di massa, e quindi che utilizzano essenzialmente strumenti mediatici e accademico-culturali.
5. Si tratta dunque di una reazione autoritaria che si afferma, e si manifesterà in modo crescente, attraverso la pronta realizzazione, da parte della politica “formale” (istituzionale €uropea, in primis), di norme, standards, regolazioni, e specialmente della soft law, tutte funzionali a autoconservare, in un crescendo di autoritarismo inquisitorio e fortemente moralistico, il potere totalitario “pop” conquistatosi dalle istituzioni €uropee (e dai paesi che ne sono i controllori secondo la segnalata realtà della costituzione “materiale”).
In particolare questa soft-law, tipicamente teorizzata come la normatività informale, ma pretesamente vincolante al massimo grado, che si ascrive ad ogni possibile manifestazione di pensiero/opinione (e non solo di volontà) esternata in ogni “batter di ciglio” da qualunque istituzione €uropea, (a prescindere persino dalle competenze legali e di merito), sta rivelandosi tipica di questa fase di minacciosa e autoritaria auto-conservazione di potere.
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5.1. Sottolineiamo, perciò, la prassi €uropea della soft-law: essa realizza, infatti, l’influenzamento dei comportamenti politico-sociali in base a fonti non pienamente rispondenti alla rule of law (che impone una preventiva tipizzazione delle fonti, prestabilendone la forza giuridica e le procedure di adozione), ma nondimeno si rivela di grande efficacia condizionante, una volta entrate nel complementare circuito mediatico-culturale di “controllo sociale“, servente il paradigma sovranazionale del federalismo €uropeo.
6. Il circuito mediatico-culturale è certamente, (almeno nella facciata che si vuol mantenere), un fatto privato, sia pure di grande “potenza” sociale, come a suo tempo evidenziò perfettamente Gramsci: non di meno, esso costituisce un apparato – costruito dal disegno dominante della finanza transnazionale che ne è proprietaria in senso giuridico-imprenditoriale-, pervasivo in ogni realtà nazionale singolarmente considerata ed agevolmente coordinabile, una volta accordatisi sulla predetta “costituzione materiale” insita nei trattati.
Questo apparato “coordinato”, su interessi di vertice privati naturalmente convergenti, come sta diventanto sempre più drammaticamente evidente, realizza un controllo sociale che, non a caso, è stato minuziosamente teorizzato dai “grandi” pensatori neo-liberisti come Hayek e Lippmann.
Questo “fatto (compiuto) privato” conferisce dunque una forza supernormativa “consuetudinaria” alla soft law €uropea – classicamente realizzabile proprio nell’applicazione dei trattati internazionali – che diviene il terreno di elezione della volontà di condizionamento espressa dalla elite finanziaria, con una frequenza e una continuità che solo l’alta informalità e lo sprezzo per procedure partecipate e l’ordine legale delle competenze possono consentire.
7. Di questo fenomeno ci aveva dato una definizione Lucio Gallino, proprio con riguardo al “pensiero neo-liberale”, in un’intervista rilasciata poco prima della sua morte.
Ve ne sottopongo i passaggi specifici sul tema perché, al di là delle manchevolezze del quadro che egli delinea (su cui torneremo in seguito e proprio in omaggio ad un pensiero cui mancava poca strada per arrivare alla “completezza”), costituiscono una sorta di testamento morale che non andrebbe dimenticato e che, semmai, dovrebbe essere portato compimento fino alla sue logiche conclusioni:
“Secondo lei, il quadro è immutabile o esiste ancora una exit strategy? La via d’uscita è il superamento del pensiero neoliberale sotto i vari aspetti a cominciare da quello economico. Noto con interesse che, recentemente, si stanno sviluppando esempi di resistenza e pensatoi di studiosi che riflettono su ipotesi di discontinuità ma siamo lontani da un effettivo cambiamento dello status quo. È necessario un segnale di rottura anche nella scuole e nell’università che, negli ultimi decenni, hanno subito un attacco da parte dei governi a colpi di riforme orientate a espellere il pensiero critico dai luoghi della formazione: l’intero sistema doveva essere ristrutturato come un’impresa che crea e accumula “capitale umano”. Bisogna correggere il tiro”.
8. Quanto espresso in tali chiari termini da Gallino rieccheggia la ancor più chiara radiografia, dataci da P.Barcellona (qui, nota 8), circa il legame tra pensiero dominante (appunto mainstream) e imposizione posticcia della “meritocrazia” realizzata, – anch’essa, posta all’interno del paradgima linguistico neo-liberista-, sul piano di un continuo conformismo accademico-culturale la cui prima “denuncia” risale a Schopenauer:
“…la parola meritocrazia è soltanto uno strumento arbitrario per realizzare diseguaglianze e appiattire le attitudini singolari.
Tornano alla mente le sempre attuali riflessioni di Schopenhauer sul sapere istituito e strutturato in modo sistematico dagli statuti disciplinari delle università, funzionale a cacciare fuori dal recinto del potere il Genio che interrompe la sequenza conformistica delle logiche quantitative e incrementali.
Nel passaggio dal concetto di merito all’attuale formula della meritocrazia ad ogni costo c’è uno slittamento semantico che ha profonde implicazioni: il merito era stato introdotto in una visione che tendeva a contestualizzare le abilità di una persona in rapporto alle situazioni concrete in cui si svolgeva la sua vita, viceversa la meritocrazia è un sistema generale e astratto…
Di fatto, la meritocrazia è uno strumento di emarginazione sociale, la cui perversione efficientista assume uno standard astratto e uniforme, impone di prescindere dalla personalità di chi deve essere valutato, dalle sue origini familiari, dall’ambiente in cui si è formato e dell’attività che ha svolto.
È quindi uno strumento di riproduzione, come classe dirigente, della casta dei meritocrati, la nuova «aristocrazia» che costruisce un criterio di selezione, non certo per realizzare il miglior governo possibile della società, ma per garantire la continuità del proprio dominio”.
9. Questa lunga premessa sarebbe stata, nelle intenzioni originarie, funzionale ad un post su come e perché avvenga la finanziarizzazione di società un tempo democratiche, – anzi di un intero continente, in un recente passato esponenziale della forma più avanzata di democrazia sostanziale- e su come e perché sia fuorviante parlare di “finanza-cattiva“, senza collegarla al concreto disegno normativo del federalismo €uropeo, dalla sua genesi alle sue estreme manifestazioni che, appunto, sono quelle che si stanno verificando nella reazione autoconservativa e autoritaria ai nostri giorni.
Parleremo dunque, in un ulteriore post, di come l’attuale costituzione materiale dell’Unione europea, intesa come insieme di trattati, sia formata sul “piacere della crudeltà” e di come il tutto si connetta all’idea liberista della “elargizione della fiducia” e della efficiente allocazione delle risorse “limitate”.
10. Quanto finora premesso, ci consente tuttavia di scorgere, fin da adesso, nel complessivo fenomeno dei trattati, il viatico per un medioevo prossimo venturo, divenuto sempre più autoritario proprio per via della segnalata progressiva perdita di controllo del processo, orwelliano, di mutazione antropologica dell’essere umano (europeo), che si sta oggi manifestando.
Magari un medioevo con tracce di un neo-privilegio castale iper-tecnologico, ma che per masse sterminate di esseri umani significherà rimpiombare nella miseria e nell’assoggettamento all’arbitrio sempre più sconfinato delle nuove caste superiori, autoinvestitesi di tale ruolo grazie alla costruzione €uropea e alla sua mistica della legittima sofferenza da infliggere ai più deboli, ai “falliti” e unfit, e grazie all’instillazione, in voi, voi tutti, del “senso di colpa (p.2, b)“.
Questa oggi è la vera posta in gioco: e, sebbene nella versione riproposta in forma farsesca, come abbiamo visto in ottica “frattalica”, il pericolo non è minore di quello che l’Europa correva per il caso di un esito funesto della seconda guerra mondiale.
Davvero un eccellente articolo!