Odiate Trump ma ricordate che morite di fame come sudditi d’Europa

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Se te lo voti, non va bene. Se lo tiri fuori dal cilindro nemmeno. Se fa il petroliere, no. Ma neanche se proviene dalla Columbia University. Se è saggio e talentuoso, se la politica la fa da sempre. Se è raccomandato o circonciso. Il presidente non va bene, se parla in nome di certi valori. Trump s’insedia. Gente che urla, chi si denuda. Chi spacca vetrine, chi piange. Donne che farfugliano di sesso e utero. “Sono bella e brutta ma sono mia”, “il presidente non può toccarmi, non dovrà guardarmi, non dovrà pensarmi”, che pare di stare a piazza del Popolo nel ’68 come al tempo del moralismo femminista: alle 16.30 odio gli uomini, alle 17.30 a letto con gli uomini.

Le donne di tutto il globo sono incazzate con Trump il porco che non rispetta il delicato universo femminile, sempre mentre in Somalia una donna viene infibulata, a Rotterdam un’altra non esce la sera perché è vittima di stalking in seguito alle violenze di uno stronzo ed un’altra ancora di una sassaiola di cani con la barba che praticano la shari’a.
Ipocrisia universale, adolescenziale. Proteste ovunque, le star(esse, per essere al passo con la Boldrini) del globo impazzite. Pompini, cazzi, minacce. Tutto tristemente tratto da una storia vera.

Trump si è insediato dopo essere stato democraticamente eletto, scelto dal popolo americano in maggioranza. Questo il dato oggettivo – che sacro vocabolo – a livello politico.

Isteria. Ovunque.

Ma non eravamo gli emancipatissimi del progresso? Talmente tanto che si sta bene tutti insieme, con lo stesso sesso, nello stesso mercato, con lo stesso Dio, nello stesso mondo piccolo, piccolo, tanto siamo maturi da non dover fare a cazzotti come nel ‘43? Ma guarda tu se anche una sana rosicata deve essere trasformata in un affare di Stato internazionale, in una drammatica condizione di causa-effetto a livello planetario, in cui si scomodano i massimi sistemi sociologici e politologici. Ma non si può proprio fare che ognuno si fa la democrazia che gli pare, visto che siamo così liberi?

A me, questo villaggio vacanze globale inizia a starmi pesantemente sul cavolo. Anche a me Kim Jong Un fa paura. Un cicciopazzo pericolosissimo, armato di atomica e assurde manie da dittatore. Uno che fucila i dormienti, silura i distratti e mette tutti i coreani, incapaci dignitosamente di sacrificarsi come un tempo eravamo abituati a fare noi europei, in ordine di altezza. Anche a me non vanno bene un sacco di cose. Che la ndrangheta mi ammazza quelli con le palle che non pagano il pizzo, che l’Isis mi massacra Palmira. Che Saviano è considerata l’unica speranza culturale ed intellettuale di questo Paese.
Culturalmente posso dissentire. Posso scriverne un pezzo e prendermi gli insulti ma tengo la linea. La linea dell’orizzonte. Posso farmi andare di traverso il panino con nduja e melanzane parlando di TTP, di Soros, delle vongole misurate dall’Europa, dallo strapotere dell’egemonia culturale imperante che, in quanto cristiano, mi vede come una spina sotto la pianta del piede. Fuori tempo, fuori corso, fuori luogo. E invece io vivo, e ardisco come posso, e piango tutti i miei fratelli cristiani un po’ stuprati e gettati in una fosse comune, un po’ decapitati o crocefissi, ovunque. Posso tirare sonore testate al muro del tempo presente, che in realtà sembra più un trapassato prossimo, ma non perdo la lucidità. Anche se scenderei in piazza più che volentieri, come ho sempre fatto.

Meschina falsità collettiva.

A Roma protestano le donne, a Latina gli spazzacamini, a Viterbo i norcini e a Rocca Priora i gelatai. Signore, Signori, Signor*, Trump non è il mio presidente! Nel vero senso della parola. Noi abbiamo Gentiloni e Mattarella. E Trump è negli States, come la Le Pen è in Francia. Non siamo un popolo di idealisti, siamo vouyeur.

Basta! Ripensiamoci, e per qualche ora spegniamo l’internet che ci fa male, a tutti, me compreso.

Emanuele Ricucci ::::: Il Giornale