Giulio Regeni “era una spia, l’ho indotto a parlare e l’ho registrato”. Resta convinto della sua versione il capo del sindacato dei venditori ambulanti egiziano, Muhammad Abdallah, che in un’intervista al portale di notizie egiziano ‘Shorouk’ ha affermato di aver segnalato il ricercatore italiano alla polizia mosso da “spinta nazionalistica”, ma sostiene che dietro la sua morte ci siano “apparati stranieri”.
Nei giorni scorsi, la tv egiziana ha diffuso un video che mostra l’ultimo incontro tra il ricercatore, scomparso al Cairo il 25 gennaio dello scorso anno e trovato morto 9 giorni dopo sull’autostrada Il Cairo-Alessandria con evidenti segni di tortura sul corpo, e il sindacalista, che all’insaputa di Regeni ha registrato la conversazione.
Era il 7 gennaio, pochi giorni prima della scomparsa del ricercatore, e Abdallah gli spiega di avere bisogno di soldi perché la moglie è malata di cancro e la figlia ha problemi di salute. “Ho inventato questa storia per trascinarlo nel discorso e mostrare che era una spia”, ha spiegato, aggiungendo che “le domande da lui fatte nei cinque giorni precedenti erano sospette”.
Tra queste, “domande sulla rivoluzione, sulla repressione dei venditori ambulanti da parte della polizia, sulla natura del loro lavoro e sulle loro condizioni sociali”, ha ricordato il sindacalista, sostenendo che Regeni gli “aveva proposto di partecipare a un bando britannico per ottenere 10mila sterline, che avrebbe ottenuto in coordinamento con un centro per i diritti, e questo in cambio delle informazioni che gli chiedevano”.
Il riferimento è al Centro egiziano per i diritti economici e sociali, dove Regeni era in contatto con l’attivista Hoda Kamel, responsabile del dossier dei lavoratori per il Centro, che in un’intervista, ieri, ad Aki-Adnkronos International ha affermato di essere stata “purtroppo” lei “a far conoscere Giulio Regeni e Muhammad Abdallah”.
Il sindacalista ha infatti dichiarato a ‘Shorouk’ di aver “ricevuto una telefonata da un’impiegata del Centro che mi chiedeva di aiutare Regeni in una ricerca che stava svolgendo sui movimenti dei lavoratori in Egitto”. Quando il ricercatore gli ha parlato del bando e della possibilità di ottenere dei finanziamenti, Abdallah si è insospettito, “soprattutto perché la fondazione era britannica e non italiana. Così – ha detto – l’ho registrato e ho riferito tutto alla polizia”.
Abdallah e Regeni si sono sentiti telefonicamente l’ultima volta il 23 gennaio, due giorni prima della scomparsa del ricercatore. In quell’occasione, Regeni “mi aveva chiesto di iniziare il lavoro, ma io gli ho chiesto di rimandare a dopo l’anniversario della rivoluzione del 25 gennaio”, ha ricordato Abdallah, dicendosi convinto che ad ucciderlo siano stati “apparati stranieri dopo che è stato scoperto”.
Per giustificare i suoi contatti con la polizia, Abdallah ha spiegato che “siccome il governo ha ignorato i venditori ambulanti per lunghi anni prima della rivoluzione di gennaio, siamo stati costretti a conquistarci la simpatia della polizia per guadagnarci di che vivere in pace, ma dopo la rivoluzione le cose sono cambiate, è aumentata la disoccupazione e in molti si sono messi a fare gli ambulanti, tra cui dei pregiudicati che hanno diffamato la professione”. adnkronos