Spieghiamo: questa storia di documenti ritrovati su macchine usate per gli attentati è roba abusata. Fin dall’11 settembre, da quando il documento di Mohamed Atta fu ritrovato tra le rovine fumanti delle Torri gemelle (l’incendio fu domato solo due mesi dopo), va avanti questa improbabile reiterazione.
Così a Nizza, così nell’attentato al giornale Charlie Hebdo, i documenti dei terroristi appaiono magicamente sul luogo del delitto chiudendo l’inchiesta prima che inizi.
In realtà le indagini di Berlino avevano già portato a un risultato, il famoso pakistano arrestato, che poi si è scoperto essere del tutto innocente. Una falsa pista che ha fatto perdere un giorno prezioso. Utile all’assassino per far perdere le sue tracce, e magari abbandonare il Paese.
Come per Charlie Hebdo l’attentato è opera di professionisti. L’uomo, o gli uomini che hanno colpito a Berlino, hanno sequestrato il camionista polacco verso le quattro del pomeriggio. Per poi prendere dimistichezza con il mezzo, come indicano le accensioni del motore multiple registrate dal gps.
Presumibilmente hanno motivato il loro gesto come un tentativo di furto, che ha consentito loro di convincere il conducente a seguirli sotto minaccia delle armi. Particolare importante, appunto, che indica l’opera di professionisti: se avessero ucciso l’uomo prima dell’azione c’era il rischio che il corpo fosse scoperto, mandando all’aria tutto (sarebbe scattata la caccia al camion). Né per lo stesso motivo è ipotizzabile sia stato ucciso molto prima del fatto, ché girare con un cadavere nell’abitacolo può destare attenzione.
Come per Charlie Hebdo anche a Berlino non si riscontra l’opera di kamikaze, come usano i jihadisti, altro indizio di professionismo. Professionisti che non hanno agito secondo le istruzioni del perfetto attentatore riportate nel dettaglio sulle riviste patinate del Terrore (Dabiq, Rumiyah).
Secondo tali istruzioni, una volta che il camion lanciato sulla folla si è arrestato, il guidatore killer dovrebbe scendere e continuare la mattanza con armi da taglio (più facili da reperire e da far passare inosservate).
Nulla di tutto questo è successo a Berlino. L’attentatore o gli attentatori dopo aver lanciato il camion sulla folla si sono dileguati, anzi per usare un termine più corretto sono esfiltrati tramite una via di fuga. Conservando in questo frangente un perfetto sangue freddo (altro che pazzo esaltato…).
Nessun urlo “Allah Akbar” o altro, come d’uso. Chi ha ucciso si è semplicemente eclissato, come un criminale comune che tiene alla sua vita e alla sua libertà.
Ma veniamo a un particolare oggi molto pubblicizzato, che fa ipotizzare un’esfiltrazione un po’ più complessa di quella che si era immaginato
A quanto ripetono i media, fonte polizia, la cabina del camion risulta inondata di sangue. Particolare che denota, secondo tali ricostruzioni, una lotta interna: il conducente del camion avrebbe combattuto contro il suo/i assalitore/i prima di essere ucciso.
Usiamo il plurale perché l’autista polacco era un colosso (così il fratello e le foto), e ci volevano due uomini a tenerlo a bada. Anzi uno armato, mentre l’altro guidava. D’altronde immaginare un ladro di camion che guida per ore con a fianco, libero, un energumeno ostile è alquanto difficile.
Come è difficile ipotizzare, come fanno tante ricostruzioni, che sia stato proprio il conducente eroe a deviare il camion, impedendo che la strage fosse maggiore.
Presupporrebbe che l’assassino, o gli assassini, si siano lanciati sulla folla con il colosso ancora vivo a bordo, cosa invero bizzarra da immaginare per dei professionisti che ben sanno che a quel punto sarebbe scattata una reazione spontanea dettata dalla disperazione, che poteva far fallire tutto.
Più probabilmente la lotta è avvenuta un momento prima che il camion fosse avviato al suo ultimo appuntamento. Il conducente polacco doveva essere eliminato per tacitare un testimone scomodo, altro segno di professionismo.
Il rapito deve aver reagito e ne è nata una colluttazione, terminata con la sua morte. Deve esser avvenuto poco prima, si è detto, e per avere la meglio, il sequestratore ha utilizzato, oltre che l’arma da taglio, anche una pistola. E questa col silenziatore perché non si deve sentire la detonazione (che non si è sentita). Arma non usuale nelle operazioni dei jihadisti.
A questo punto il camion è stato lanciato sulla folla, con uno o due uomini a bordo. Uno dei due, infatti, potrebbe esser sceso subito dopo l’omicidio del conducente, per dileguarsi (magari usando un’automobile, come vedremo di seguito).
Quindi la corsa assassina, appunto. Dopo la quale l’autista-assassino semplicemente scompare. C’è sangue nella cabina, si è detto, tanto sangue. Tanto che il primo indiziato è stato scagionato proprio dal fatto che i suoi abiti erano puliti (e dalla prova dello stub, che ha escluso abbia sparato).
Davvero difficile immaginare qualcuno che cerca di nascondersi tra la folla, prendere un mezzo o la metro, coperto di sangue. Più probabile che, sul luogo, vi fosse un’automobile pronta ad accoglierlo/i e a farlo/i esfiltrare.
Insomma, un’operazione un po’ più sofisticata e complessa di quanto viene raccontato. Che prevede l’opera gente spietata, sì, ma non esaltata. Professionisti, appunto. Che non vanno a compiere attentati portandosi dietro un passaporto o, se anche fosse, non lo perdono sul luogo del delitto, dal momento che è tra le cose più importanti da evitare.
Un passaporto comparso peraltro, magicamente, solo il giorno successivo alla strage, altrimenti non avrebbero arrestato subito un innocente.
Possibile che siamo davanti, per l’ennesima volta, a dei professionisti oltremodo sbadati. E però qualcuno potrebbe avanzare il sospetto che magari si sia cercato un capro espiatorio per chiudere la vicenda e per evitare che dilagasse il panico. O altro e più oscuro. A pensar male, purtroppo, spesso ci si azzecca.