Mevlut Mert Altintas, il poliziotto 22enne che ieri ha ucciso l’ambasciatore russo in Turchia Andrei Karlov, avrebbe fatto parte del personale di sicurezza del presidente turco Recep Tayyip Erdogan nel 2014-2015, per poi passare, nel 2016, nelle unità antisommossa di Ankara. Ieri ha usato il suo tesserino di polizia, anche se non era in servizio, per entrare alla mostra d’arte “La Russia attraverso gli occhi dei turchi” che il diplomatico stava inaugurando. Al suo ingresso, infatti, il metal detector avrebbe segnalato la presenza di una pistola, ma l’agente ha mostrato il tesserino ed è stato lasciato passare.
L’ambasciatore Karlov stava parlando da pochi minuti quando Altintas gli è arrivato alle spalle, sparando al grido “Allah Akbar”. Otto o nove, secondo diverse fonti, i colpi scaricati contro il diplomatico, gridando in un misto di arabo e turco: “Non dimenticate Aleppo, non dimenticate la Siria. Fino a quando le nostre città non saranno sicure, neanche voi sarete al sicuro. Solo la morte mi può portare via. Chiunque sia coinvolto in questa sofferenza ne pagherà un prezzo”.
Quindi, in arabo, ha aggiunto: “Noi siamo quelli che hanno giurato fedeltà a Maometto per condurre la jihad”. Parole che, secondo la Cnn, sono simili all’inno non ufficiale del braccio siriano di al Qaida in Siria, Fronte al Nusra. L’uomo è stato ucciso dalle forze speciali turche dopo uno scontro a fuoco durato almeno 15 minuti. Altintas era nato nella città di Soke, nella provincia occidentale di Aydin, e aveva frequentato l’Accademia di polizia di Smirne.
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Ieri le forze di polizia hanno arrestato madre, padre e sorella dell’omicida, dopo averne perquisito l’abitazione ad Aydin, mentre ad Ankara hanno fermato il suo coinquilino, anche lui un agente di polizia, secondo quanto riportato dai media turchi. Secondo il quotidiano Hurriyet, Altintas avrebbe soggiornato in un albergo situato nelle vicinanze della galleria per preparare l’attacco. Il sindaco di Ankara, Melih Gokcek, ha ipotizzato un collegamento con l’imam Fethullah Gulen, già accusato per il fallito golpe del 15 luglio scorso. Gulen, in esilio negli Stati Uniti, ha smentito ogni coinvolgimento. ASKANEWS