Dopo il 4 dicembre ci sarà bisogno di un vero e proprio new deal italiano
Dopo il 4 dicembre, qualunque sia l’esito del referendum, un dovere inderogabile graverà su tutti gli Italiani: occorre predisporre un “nuovo progetto” per evitare la distruzione completa dell’economia italiana e la perdita totale del nostro territorio.
A tal riguardo bisogna porre in evidenza che new deal di Roosvelt negli anni ‘30 vinse la prima depressione mondiale ricorrendo ai principi di Keynes, secondo i quali occorre, per risolvere la crisi economica, redistribuire la ricchezza attraverso un intervento pubblico dello Stato. Ciò vuol dire che occorre promuovere una grande opera pubblica (ristabilimento dell’equilibrio idrogeologico del Paese e messa in sicurezza degli immobili laddove esiste rischio sismico) che non produca merci da collocare sul mercato. Intervento dello Stato che è vietato dai trattati europei secondo i quali lo Stato non può aiutare le imprese e la BCE può dare denaro solo alle Banche. Il mancato intervento dello Stato impedisce la redistribuzione della ricchezza su una larghissima fascia di lavoratori, i quali possono andare ai negozi che si rivolgono alle imprese, le quali assumono personale e producono merci reali, instaurandosi così un circolo virtuoso.
Non sfugge a nessuno che solo questo sistema economico produttivo può salvarci dalla rovina.
Il pensiero da contrastare è quello del neoliberismo secondo il quale non conta la comunità ma rileva soltanto il singolo individuo, il quale deve essere auto imprenditore, perseguire il massimo profitto, e fare in modo che la ricchezza sia accentrata nelle mani di pochi.
Se si pensa che tutto questo procede attraverso la creazione del denaro dal nulla, la privatizzazione delle industrie, dei beni e dei servizi pubblici, e la svendita di questi stessi, si capisce agevolmente che il neoliberismo pone in essere un sistema economico deviato e predatorio, che porta pochi al benessere e molti alla miseria.
La salvezza sta nell’applicare la sezione terza, parte prima, della vigente Costituzione, che, a cominciare dagli anni ‘80, dopo trenta anni di benessere, è stata costantemente violata a causa di leggi criminogene che hanno privatizzato le banche, le industrie, i territori e persino i demani, che sono proprietà collettiva degli Italiani a titolo di sovranità.
Si tratta altresì di riprendere in esame il Trattato di Maastricht, di Lisbona e il cosiddetto fiscal compact, i quali ci legano mani e piedi e vorrebbero, come sottolinea Cristine Lagarde, che noi riducessimo il debito accelerando e frenando nello stesso tempo.
E’ questo un concetto di per sé illogico e contraddittorio, ed è folle affidare ad esso la riduzione del debito pubblico che, tra l’altro, è costituito tutto da tassi di interesse che ci hanno posto sulle spalle i mercati e non certo dalle spese per il welfare, per il quale spendiamo meno di tutti, cioè il 41% del PIL, mentre la media europea è del 45%.
E’ un cammino certamente faticoso e non privo di sofferenze, ma è obbligatorio percorrerlo perché l’alternativa è soltanto la perdita del territorio, la miseria del popolo, la fine.
In conclusione si tratta di riportare la sovranità che si è spostata nei mercati all’interno degli Stati nazionali, poiché è il diritto che deve prevalere sull’economia e non viceversa.
Paolo Maddalena, Vicepresidente emerito della Corte Costituzionale — affaritaliani.it