Molti scribacchini di regime al servizio dell’élite non temono di restare senza lavoro e continuano a offendere e prendere in giro i lettori. Leggiamo i loro commenti
Abbiamo sbagliato, e di grosso; ora affrontiamo la realtà dei fatti e cerchiamo di sistemare le cose. Dopo l’uragano Trump, i media americani fanno mea culpa. A partire dal New York Times che, al momento della chiusura dei seggi, dava Hillary Clinton con l’85% delle possibilità di vittoria, e affermava che aveva le stesse probabilità di perdere di un giocatore di football che tiri un calcio piazzato da posizione centralissima. Aveva torto, e oggi ammette: “I media non si sono accorti di quello che accadeva intorno a loro, e questa è una lunga storia. I numeri non sono stati solo una guida piena di indicazioni sbagliate per la notte elettorale: erano del tutto fuori strada rispetto a quello che stava realmente accadendo“.
“Nessuno”, prosegue impietoso, “aveva previsto una notte elettorale come questa. L’aver sbagliato bersaglio in questo modo significa molto di più dell’aver sbagliato i sondaggi, perché si è trattato dell’incapacità di percepire la ribollente rabbia di una parte così vasta dell’elettorato americano, che si sente abbandonato all’interno di una ripresa economica (quale??? ancora bufale?) che non coinvolge tutti e tradito da una serie di accordi commerciali che considera una minaccia al proprio posto di lavoro voluta dall’establishment di Washington, da Wall Street e dagli organi di informazione”.
Si tratta, insomma, della vendetta della classe operaia “molto meno disturbata dalle bugie di Trump che dai malanni nazionali contro cui Trump puntava il dito, promettendo di avere la soluzione”. E secondo questi occhi “le istituzioni sono marce, il sistema economico è marcio, persino i media sono marci”. “Beh, qualcosa di marcio c’è di sicuro”, è l’amara conclusione del New York Times. “Le cose possono ancora essere rimediate, ma la questione va affrontata una volta per tutte”.
Anche il Washington Post ammette: “Mettiamola giu’ dura: i media hanno preso una topica”. “They missed the story”, sottolinea senza mezzi termini. Alla lettera: “Hanno preso un buco”, che nel linguaggio giornalistico universale equivale alla peggiore delle maledizioni, quando cioè non ci si accorge della novità, di quello che sta accadendo. Il mondo va avanti, e noi non lo sappiamo. Eppure è accaduto: “I media non volevano credere che Trump potesse vincere, e quindi si sono girati dall’altra parte” in cerca di visioni rassicuranti. Peccato fosse tutto sballato: “e nonostante gli elettori urlassero e gridassero che volevano qualcosa di diverso, la maggior parte dei giornalisti non ha voluto sentire. E non ha capito”. Non si sono resi conto “che gli enormi assembramenti di folla ai comizi di Trump erano pronti a tradursi in voti, e che l’America che loro conoscevano potesse abbracciare un uomo in grado di farsi beffe di un disabile, di vantarsi di come era aggressivo con le donne, di spargere misoginia, razzismo e antisemitismo“. Insomma, “sarebbe stato orribile, quindi secondo un pensiero immaginifico, non avrebbe potuto accadere”.
Gli scribacchini, sottovalutando gli elettori, erano certi che gli americani avrebbero ingenuamente preferito una bugiarda guerrafondaia che danneggia l’America e il mondo da 30 anni.
“I giornalisti sono per lo più gente di istruzione universitaria e di orientamento liberal, che il più delle volte vivono a New York, Washington o sulla Costa Ovest”, prosegue il quotidiano senza fare sconti, “e sebbene ci siamo immersi per qualche giorno nei grandi stati a vocazione repubblicana, magari intervistando qualche minatore o operaio rimasto senza lavoro della Rust Belt, non abbiamo preso sul serio quello che abbiamo visto. E Trump, che chiama i giornalisti feccia e corruzione, ci ha talmente irritato da impedirci di vedere quel che avevamo di fronte agli occhi”. (con fonte AGI)