Dati negativi (anzi negativissimi) sull’occupazione. L’entrata in vigore del Jobs Act sta dando i suoi frutti: finiti gli sgravi contributivi per le assunzioni a tempo indeterminato crollano le assunzioni. E aumentano i licenziamenti “per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo”. I dati resi pubblici dall’Inps parlano chiaro: in due anni sono passati da 35 a 46 mila, il 31% in più. Il tutto grazie alla norma sul lavoro emanata dal governo Renzi che, abolendo l’articolo 18, ha dato mano libera alle aziende.
I numeri – che nella sostanza confermano quanto già detto dall’Istat – dicono che nel 2014 e nel 2015 i dati sui licenziamenti si sono mantenuti praticamente invariati, galleggiando intorno ai +10 mila, mentre l’impennata c’è stata proprio negli ultimi 12 mesi, cioè dopo l’entrata in vigore del Jobs Act. L’immagine a tinte fosche è resa dai dati dell’Osservatorio sul precariato dell’Istituto nazionale di previdenza, guidato da Tito Boeri.
Nei primi otto mesi dell’anno, le assunzioni sono calate dell’8,5% a quota 3,782 milioni: i contratti a tempo indeterminato sono stati “solo” 800mila, in netto calo rispetto agli 1,2 milioni dello scorso anno e meno anche dello stesso periodo del 2014, quando a marzo entrò in vigore il Jobs Act. Numeri impietosi che raccontano di un’economia asfittica per niente sostenuta dalla maggiore flessibilità nel mercato occupazionale che anzi diventa punitiva per i lavoratori: il tasso di disoccupazione resta fermo all’11,4%. E continua a crescere senza freni il ricorso ai voucher che, come noto, permettono di mascherare rapporti di lavoro di diversa natura come prestazioni a ore. Il risultato è che rallentano le assunzioni e in generale i nuovi contratti. La stretta sui voucher arriverà solo a dicembre.
Nuove assunzioni: -88%
Andando ad analizzare i numeri assoluti, si nota che nei primi otto mesi del 2016 sono stati stipulati 1.059.834 contratti a tempo indeterminato (comprese le trasformazioni) a fronte di 1.006.531 cessazioni di rapporti di lavoro stabili. L’Inps spiega che il saldo positivo per 53.303 unità è di circa l’88% inferiore a quello dello stesso periodo del 2015 (465.800), quando però per le assunzioni a tempo indeterminato era in vigore l’esonero contributivo previdenziale totale. Il saldo sui contratti stabili dei primi otto mesi del 2016 è inferiore anche a quello dello stesso periodo del 2014 (104.099), anno della fase acuta della crisi economica internazionale: da lì in poi in Europa ricominciano i numeri positivi, in Italia no.
“Come già segnalato nell’ambito dei precedenti aggiornamenti dell’Osservatorio – spiega l’Inps -, il calo va considerato in relazione al forte incremento delle assunzioni a tempo indeterminato registrato nel 2015, anno in cui dette assunzioni potevano beneficiare dell’abbattimento integrale dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro per un periodo di tre anni”. Analoghe considerazioni possono essere sviluppate per la contrazione del flusso di trasformazioni a tempo indeterminato (-35,4%). Fino allo scorso anno, infatti, i datori di lavoro potevano beneficiare di uno sconto fiscale di 24mila euro in tre anni per ogni neoassunti: dal 2016 lo sconto è sceso a 3.250 euro l’anno.
Impennata di licenziamenti “disciplinari”, senza diritto di reintegro
Nei primi otto mesi del 2016 crescono i licenziamenti sui contratti a tempo indeterminato passando da 290.556 a 304.437, ma aumentano soprattutto i licenziamenti cosiddetti “disciplinari”, ovvero quelli per giusta causa e giustificato motivo. Negli otto mesi del 2016 sono passati dai 36.048 dello stesso periodo del 2015 a 46.255 (+28%). Per coloro che sono stati assunti con il contratto a tutele crescenti previsto dal Jobs act a partire dal marzo 2015, sono cambiate le sanzioni in caso di licenziamento ingiusto, con la sostanziale cancellazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e quindi con l’impossibilità della reintegra nel posto di lavoro.
REDAZIONE TISCALI