L’elemento più importante che caratterizza la nostra splendida Carta Costituzionale, e che unì tutti i Costituenti dell’epoca, è il valore sacro della persona umana. L’individuo è inteso non più come mezzo ma come fine primario dell’ordinamento giuridico e sociale. Si traccia così una visione della persona non statica ma dinamica, poiché titolare dei diritti e dei doveri, diretta allo sviluppo, non solo economico ma sociale e culturale. La persona, però, non può realizzarsi completamente se non in condizione di libertà indissolubilmente connessa al concetto di uguaglianza.
Entrata in vigore il 1° gennaio 1948, a tre anni dalla Liberazione della Nazione e dalla fine della seconda guerra mondiale, è, a mio avviso ancor oggi, una delle più avanzate del mondo, soprattutto perché è costruita in modo da non limitarsi a elencare i diritti, ma dare indicazioni tassative per la loro effettività e per la loro concreta attuazione.
Piero Calamandrei nel suo famoso discorso agli studenti nel 1955 rimarcò come la Costituzione non fosse una macchina che una volta messa in moto andava avanti da sé. “La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove: perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile; bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica”.
Nella nostra Costituzione c’è la nostra storia, il nostro passato, i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre gioie. Al suo interno ci sono anche valori intrinseci, non sempre esplicitamente dichiarati, ma chiaramente desumibili: la persona, il lavoro, la dignità, la libertà e l’uguaglianza, la democrazia, l’etica, la legalità; non dimenticando, peraltro, che nella schiera dei valori vanno considerati anche i doveri e tra di essi emergono principalmente la solidarietà e la partecipazione attiva.
Quando all’art. 1 si scrive che l’Italia è una “Repubblica democratica”, si dichiara una scelta e si evidenzia un valore: la democrazia. Non sono un costituzionalista ma da cittadino ritengo che la democrazia sia il governo di molti e non di pochi; la democrazia esprima partecipazione; la democrazia è il governo del popolo. La nostra si qualifica come parlamentare (che vuol dire strutturata attorno ad un Parlamento che esercita il potere legislativo), ma non esclude, e anzi esplicitamente prevede anche forme di partecipazione diretta dei cittadini (l’iniziativa popolare delle leggi, il diritto di petizione, il referendum e così via).
La democrazia è l’humus necessario della convivenza civile. Un valore che noi cittadini abbiamo l’obbligo morale e materiale di proteggere e tutelare contro ogni attacco e contro ogni rischio, soprattutto in un Paese che ha vissuto la dittatura. Il valore della partecipazione attiva è fondamentale.
Pericle nel suo discorso agli ateniesi già nel 431 a.c. affermava: “Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla. Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia. Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore”. Pericle ci insegna che il cittadino, non solo deve esercitare la sovranità popolare partecipando alle elezioni (quali che siano le sue scelte), ma poi deve chiedere conto ai suoi “delegati” di ciò che fanno nell’interesse comune, deve far sentire la propria voce, partecipare al dibattito pubblico sulle questioni di fondo, indignarsi per le cose che non vanno, svolgere azioni concrete di controllo sul bene comune. Questa è la cittadinanza attiva che, alla fine, è il valore più rilevante di ogni altro, non solo perché è il sale della democrazia, ma anche, e soprattutto, perché è la maggior garanzia del rispetto e dell’attuazione di tutti gli altri valori costituzionali. Il distacco, l’indifferenza, non appartengono alla democrazia e non la qualificano; non valorizzano la persona e non ne esaltano la dignità.
L’invito che implicitamente ci rivolge la Carta Costituzionale è di essere cittadini partecipi e consapevoli. Per questo, bisogna conoscere la Costituzione, approfondirne le norme specifiche ed i principi, estrarre consapevolmente i valori che essa emana e farli vivere nelle istituzioni, nella politica, nella società, ed anche nei comportamenti quotidiani, convincendosi che anche nei momenti difficili sta nella Costituzione e nei suoi valori, l’unica e vera prospettiva di rinnovamento e di riscatto. Ma soprattutto bisogna amarla, questa Costituzione: è la base e il fondamento della nostra convivenza civile per la quale in tanti hanno sacrificato la loro vita.
Sono profondamente convinto che il prossimo 4 dicembre con il nostro voto saremo chiamati a decidere non tanto se vogliamo la Costituzione del ’48 per il suo prestigio e il suo valore simbolico, ma dobbiamo optare tra democrazia parlamentare e sistema oligarchico. Questo referendum verterà sul carattere centralistico, oppure pluralistico e partecipativo della nostra democrazia. La nostra Costituzione è stata concepita per unire non per dividere: è questa la sua essenza rivoluzionaria.
La riforma costituzionale renziana si caratterizza, sin dal metodo, come una Costituzione non di maggioranza ma di minoranza, non unisce ma, di fatto, divide. Grazie a una legge dichiarata incostituzionale, il porcellum, un partito che aveva il 25% non degli elettori, ma dei votanti, ha preso la maggioranza assoluta; e in questo 25% che equivarrà a un 15% della popolazione, la maggioranza è costituita da meno della metà perché molti sono diventati “governativi” a seguito del cambiamento di equilibri interni al partito, quindi abbiamo un’infima minoranza a sostegno di questa riforma che è stata approvata – anzi, è stata imposta – attraverso operazioni a dir poco indecorose: la fiducia, il taglio di emendamenti, forme di Aventino fino all’ultima gravissima deformazione consistente nel carattere plebiscitario che si vorrebbe imporre al referendum: non sulla Costituzione ma su Renzi. Ma se c’è una questione che non ha niente a che fare con le funzioni di Governo è proprio la Costituzione. Già questo, qualunque cosa dica la nuova Costituzione, è un fattore di sfiducia sulla nuova Carta.
L’attuale Costituzione è nata dal consenso unanime di quasi tutti i partiti politici dell’epoca e per questo ha in sé ha un enorme valore aggregante e democratico. Una Costituzione di minoranza sarà regressiva e non avrà più il prestigio, il valore che deve avere la Costituzione in un sistema democratico solidaristico-sociale. In questi anni è stato smantellato lo Stato sociale, è stato distrutto il diritto del lavoro, la sanità non più solidale e gratuita perché si è economizzata e pesa sulle spalle soprattutto dei più poveri. Lo smantellamento di tutti questi diritti è possibile solo se prima di tutto si smobilita la società, e cioè si indeboliscono i partiti, e i cittadini sono ridotti a spettatori davanti alle televisioni a guardare gli scontri fra i politici, che naturalmente si scontrano su questioni secondarie. Ciò che viene perseguito è prima di tutto la neutralizzazione del controllo dal basso, del radicamento sociale, e in secondo luogo la neutralizzazione dei limiti e dei vincoli dall’alto, e cioè da parte delle Costituzioni, perché le Costituzioni sono ormai scomparse dall’orizzonte della politica. Con queste riforme il Parlamento non conterà più niente, sarà per l’appunto una maggioranza di parlamentari, fortemente vincolati da chi deciderà della loro successiva elezione, a causa anche della disarticolazione sociale dei partiti, della loro neutralizzazione come fonti di legittimazione titolari delle funzioni di indirizzo politico, di controllo e di responsabilizzazione.
Il nostro voto è una scelta o a favore della democrazia pluralistica costituzionale oppure a favore di un’involuzione personalistica e autocratica del sistema politico. Per tutti questi motivi all’interno della cabina elettorale occorre meditare e riflettere profondamente sul nostro prossimo futuro prima di votare per il SI o per il NO.
Vincenzo Musacchio – Giurista, direttore scientifico della Scuola di Legalità “don Peppe Diana” di Roma e del Molise.