“Perché l’Europa e l’Italia sono così sorpresi e parlano di problema migratorio, quando è stato l’Occidente a invitare gli eritrei a lasciare il loro Paese, attraendoli con opportunità di studio e lavoro? Se l’Europa smette di riconoscere automaticamente l’asilo politico agli eritrei, gli eritrei smetteranno di partire”. E’ quanto ha detto il ministro degli Esteri eritreo Osman Saleh Mohammed, intervistato da askanews a margine del Festival della comunità eritrea in Italia.
Nel 2015 sono stati circa 47.000 gli eritrei che hanno chiesto asilo in Europa, ma il ministro ha messo in dubbio l’attendibilità di questi numeri, sostenendo che quando alcuni Paesi europei hanno adottato la politica di riconoscere automaticamente l’asilo politico solo agli eritrei, anche “gli etiopi, i somali, i sudanesi e anche da qualche parte dello Yemen hanno cominciato a partire dicendosi eritrei e i numeri sono aumentati”.
“Gli eritrei hanno iniziato ad attraversare il confine quando gli è stato detto che avrebbero avuto istruzione, un lavoro, che avrebbero avuto molti soldi e che avrebbero vissuto una vita molto dignitosa. Alcuni Paesi europei hanno detto loro che l’Europa è un paradiso. Allo stesso tempo – ha sostenuto il ministro – l’Etiopia ha iniziato a dire che poteva mandarli facilmente negli Stati Uniti e in Europa e hanno creato dei campi nel Tigray (regione a Nord dell’Etiopia, al confine con l’Eritrea, ndr). E hanno iniziato ad andarsene. In Sudan, invece, c’erano già dei campi”.
Secondo il ministro le reti di trafficanti di esseri umani operano in Etiopia e in Sudan. Incalzato sul probabile coinvolgimento di cittadini eritrei, ha ricordato che il presidente Isaias Afewerki ha inviato “una lettera all’Onu per chiedere di indagare sul traffico di migranti e non ci hanno risposto“.
In occasione del recente incontro a New York con il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon è “stato anno detto che potrebbe esserci la possibilità di inviare una delegazione dell’Ufficio Onu sulle droghe e il crimine per discuterne, ma dovrebbero creare un comitato per indagare questa questione”.
“E’ falso” che “gli eritrei fuggano da una persecuzione”, ha sostenuto il ministro, perchè “sono stati invitati dall’Occidente a lasciare il Paese. E’ stato fatto in modo deliberato, è una strategia politica“, secondo il ministro, legata al conflitto combattuto con l’Etiopia nel 1998-2000 e mai di fatto concluso, perchè l’Etiopia non ha applicato l’accordo (di Algeri, ndr) e ha iniziato a invocare un cambio di regime. E per accelerare questo cambio di regime hanno creato la fuga dei cervelli, finanziandola. Nello stesso tempo l’Europa ha deciso di dare l’asilo politico agli eritrei. Hanno voluto creare la percezione che gli eritrei erano perseguitati dal governo e hanno bollato l’Eritrea come Corea del Nord africana. Hanno insultato l’Eritrea”.
Nel giugno scorso la Commissione d’inchiesta Onu ha accusato il governo di Asmara di crimini contro l’umanità. Un rapporto respinto come politicamente motivato dalle autorità eritree. E diffuso “in concomitanza” con l’attacco militare mosso dall’Etiopia al confine. “Come mai questi due fatti sono stati concomitanti?”, ha detto ad askanews il ministro. Di fatto, le Nazioni Unite indicano come principale motivo della migrazione degli eritrei il servizio nazionale a tempo indeterminato, sebbene la legge ne fissi la durata a 18 mesi. Ma per il ministro “la questione dei 18 mesi del national service non è una questione in sé, perchè l’Etiopia occupa ancora i nostri territori, quando il confine è stato già demarcato in un accordo finale e vincolante. L’Etiopia non sta rispettando l’accordo e i garanti e i testimoni dell’accordo di Algeri sono Usa, Onu, Ue, Ua e Algeria e nessuno fino ad oggi ha fatto pressioni sull’Etiopia perché si ritiri dai nostri territori. Ne parlano, ma non fanno pressioni.
L’Eritrea si deve difendere da sola e i giovani devono partecipare. Perché ci chiedono dei 18 mesi della leva quando il nostro territorio è occupato?””Se fanno pressioni sull’Etiopia perché rispetti l’accordo di Algeri, noi siamo pronti a ripristinare i 18 mesi di leva”, ha aggiunto. Nel frattempo, per arginare la fuga dei propri giovani, il governo sta intervenendo per creare lavoro e aumentare gli stipendi delle persone che prestano il national service, totalmente inadeguati rispetto al costo della vita. Dopo tre mesi di addestramento militare a cui sono obbligati i 18enni, quanti non seguono la carriera militare vengono impiegati nelle scuole, nella pubblica amministrazione, nel settore agricolo, in quello edile e in altri per lo sviluppo del Paese. “Stiamo equiparando lo stipendio delle persone che prestano il servizio nazionale con quello dei dipendenti pubblici. Per i laureati si tratta di 3.000 nafka (200 dollari) come primo stipendio e poi aumenta. Ora il governo sta definendo gli altri livelli di remunerazione”.
A fronte delle scarse risorse del Paese, uno dei più poveri al mondo, il ministro ha tenuto a rimarcare come il suo governo “non abbandoni nessuno per la strada, offrendo a tutti un lavoro” anche a quanti non proseguono gli studi dopo il diploma, grazie ai “centri per la formazione professionale”. “Il numero dei migranti eritrei sta diminuendo, perché stanno avendo lavoro e stipendi più alti e vengono assegnati nel settore in cui vengono formati. Tutti i giovani lavoreranno”, ha promesso, ma è innegabile che se venisse “riabilitato il settore industriale, come abbiamo detto alla Germania, si risolverebbe il problema dell’occupazione”. (askanews)