Parla lo scrittore Renaud Camus
«Uno spettro si aggira per l’Europa: il sostituzionismo». Parafrasando in libertà Marx, Renaud Camus individua così il pericolo che aleggia sul Vecchio Continente: «Le Grand Remplacement», la grande sostituzione dei popoli. Su quest’asse lo scrittore da anni è impegnato nella difesa di ciò che lui considerava assodato: l’essere europeo, come fenomeno etnico e culturale, minacciato a suo avviso dall’incedere di ciò che i movimenti sovranisti chiamano «invasione».
Con l’intervista de Il Tempo l’intellettuale francese – irregolare, amico di Barthes, poeta, narratore e libertino – affronta i nodi della sua teoria così osteggiata dall’establishment eppure così vicina alle cronache che continuano a testimoniare ciò che i governi faticano sempre di più a rimuovere.
Camus, a Bruxelles abbiamo scoperto interi quartieri sotto controllo dei radicali islamici. La sua teoria risulta sempre più attuale. Eppure le autorità negano.
«Perché se la ammettessero, al crimine di averla voluta o permessa, si aggiungerebbe quello di averla nascosta e negata. E poi, perché ammetterla? Il popolo inebetito con cura, non ci crederebbe, o peggio, penserebbe che non ha importanza o che ormai è troppo tardi».
Che cos’è «la Grande Sostituzione»?
«Niente di più semplice: è la sostituzione di uno o più popoli con un altro. Comincia dai palazzi, dalle strade, poi è la volta di quartieri interi, città, grandi metropoli, province e infine le nazioni. Questo crimine fa comodo ad alcune persone, ma è soprattutto il risultato di enormi meccanismi che agiscono nella società da decenni e che nessuno ha veramente voluto, a parte il conte Coudenove-Kalergi, uno dei fondatori dell’Ue, teorico del meticciato per le classi sociali meno abbienti».
Qual è il suo obiettivo?
«Il “sostituzionismo” è il figlio mostruoso della Rivoluzione industriale, nella sua fase tardiva, fordista, taylorista, e dell’antirazzismo anche lui al suo stadio senile. Le due tradizioni convergono per promuovere l’uomo sostituibile, de-originato, de-etnicizzato, de-storicizzato, de-culturalizzato, de-civilizzato, ebete. Intercambiabile, appunto. Questa “industria dell’ebetizzazione”, attraverso l’insegnamento della dimenticanza nelle scuole e l‘imbecillimento delle masse attraverso la televisione, produce una materia umana indifferenziata che si vende in vasi di conserva, su cui è scritto a grosse lettere il nome della marca: “Diversità”».
Il risultato della «sostituzione» è l’islamizzazione?
«È stata ingaggiata una gara mortale fra i due totalitarismi che si dividono la zona occidentale, il “sostituzionismo” e l’Islam. Malgrado qualche scaramuccia, non sono in lotta aperta. Fra loro c’è un patto tedesco-sovietico permanente, o piuttosto tedesco-turco. Ma la guerra è inevitabile. La Nemesi dei sostituzionisti è che sostituiscono un popolo ben preparato alla sostituzione etnica dalle loro menzogne, abbruttito dall’industria dell'”ebetizzazione”, con un popolo di iene, o se vogliamo dirlo in modo più accettabile, di lupi affamati. I rimpiazzanti non sono per nulla sostituzionisti, loro. Al contrario, sono feroci identitari, fieri della loro appartenenza, dei loro codici di comportamento diversi, del loro spirito di conquista e, soprattutto, della loro religione».
In Italia il sindaco di Riace è stato inserito nella lista dei 50 uomini più influenti del mondo. Sa perché? Ha rimpiazzato degli italiani, spinti all’emigrazione dalla crisi, con gli immigrati.
«Come se scambiasse i suoi famosi bronzi con delle imitazioni in plastica. Il sostituzionismo è il mondo del falso, del doppio, dell’ersatz. Io chiamo questo mondo il “fauxel”, il reale ribaltato, il reale falso. Lo scambio di tutto con il suo doppio meno costoso implica la proletarizzazione così suggestiva della nostra società. Se le persone del 1900 o anche del 1950 ritornassero nelle nostre città, penserebbero che sono abitate solo da clochard, vestiti male, che si comportano altrettanto male e parlano male la loro stessa lingua. Ma la sostituzione etnica fa sì che questa proletarizzazione diventi sempre di più una “terzomondizzazione“. Su un terzo del suo territorio, Parigi è Bamako, Marsiglia è la banlieue nord di Algeri. È così rassicurante per l’uomo, in fondo: è l’uomo che conta, e non certo le materie prime. Ma con una popolazione del terzo mondo, un paese europeo diventa del terzo mondo».
Antonio Rapisarda