Ha fatto stampare anche i manifesti che annunzieranno il suo decesso. Per scaramanzia non ha voluto che il tipografo lasciasse lo spazio bianco per l’indicazione dell’età.
Focenza (Fucecchio), agosto 1952
Cosi Vittorio Bartolini ci portò al camposanto, a vedere la sua tomba.
Camminava fischiettando, come uno che non ha pensieri e guardando in giro con gli occhietti arguti mentre tirava robuste boccate dal suo sigaro toscano. II Camposanto era fuori del paese, che è Focenza ovvero Fucecchio, adagiato in mezzo a una vallata verde, piena d’azzurro, di alberi e di uccelli. Il sole luccicava tra le nuvole, bianche e piccine, ed era proprio una splendida giornata. Vittorio Bartolini disse: “Che bella cosa, l’estate. Ho ottantacinque anni e la bella stagione mi piace come quando ero ragazzo”.
Sul cancello il guardiano lo salutò come si saluta la gente di casa. Il sor Vittorio rispose battendogli una mano sulla spalla e strizzandogli l’occhio con espressione soddisfatta.
C’inoltrammo lungo un viottolo coperto di ghiaia, in mezzo alle croci e agli angioli bianchi, inginocchiati con il volto tra le mani e le ali acquattate. La ghiaia scricchiolava sotto i piedi, rompendo il silenzio, e ad ogni passo le lucertole e i passerotti scappavano e si mettevano a guardare da lontano. Lui andava avanti, come uno che fa gli onori di casa. “Vengano, signori, vengano. Fa piacere veder riconoscere la bontà del proprio lavoro.” Era contento come un bambino che ha marinato la scuola e tutta la sua figura mingherlina tremava d’orgoglio. Davanti alla tomba si fermò e col viso compunto allungò il braccio verso l’epigrafe
VITTORIO BARTOLINI – CAPOMASTRO
MURATORE – CEMENTISTA
CHE HA LAVORATO DIECI ANNI
NELL’INTERNO DEL CIMITERO – NELLE CHIESE
E NEI LAVORI DEI PIÙ IMPORTANTI DEL PAESE
E SEMPRE PER LA PASSIONE – ALL’ARTE, DI 73 ANNI
VOLLE DI SUA MANO E DISEGNO EDIFICARE
QUESTO PICCOLO MONUMENTO
E DI ANNI 81 INCISE QUESTA SUA EPIGRAFE
NATO IL 10-8-1867 – MORTO IL… 19…
“L’ho scritta da me, signori miei”, disse Vittorio Bartolini accarezzando il marmo con le mani ruvide. “Non è una bella epigrafe?” “Oh, sì”, convenimmo, “una bellissima epigrafe.” Sorrise, contento. “Sa, qualcuno ci ha trovato a ridire. Il mondo è pieno di invidiosi. A qualcuno non garbava che io fossi capomastro per l’eternità, né che su questo marmo avessi detto d’aver fatto i lavori più importanti del paese. Ma capomastro fui, signori miei. E un uomo che costruì le case più robuste di Fucecchio ed edifici pubblici come il chiosco dei giornali, ruba qualcosa se si dice capomastro?” Di nuovo sorrise ed ebbe un lampo d’orgoglio negli occhietti furbi.
“E questa non è una bella tomba? Tutta da me l’ho fatta, con materiale di prim’ordine. Non bado a spese, io. Nemmeno il signor sindaco e il signor parroco, quando vennero a star di casa qui, ebbero tanta signoria.” “È tutto il mio patrimonio” aggiunse, in uno slancio di confidenza e poi, ripreso il tono sbarazzino, si mise a narrare come lui, muratore a riposo, avesse pensato di prepararsi, prima d’andarsene, la tomba e le altre cose che ci vogliono per uscir col dovuto garbo dalla scena del mondo.
Si decise undici anni fa, quando Esterina, sua moglie, morì, ed egli dovette accompagnarla nella verde vallata dove sta il Camposanto, Vittorio Bartolini volle costruirle tutto da sé, il monumento di pietra con le colonnine, la fotografia e l’angiolino di marmo con le mani giunte; e quando ebbe finito e si fu asciugato le ultime due lacrime, tornò in piazza, a pensare davanti a un bicchiere di vino.
“Morire è una cosa seria”, diceva “e vuole una quantità di cose. Chi farà a me tutto quello che io ho fatto a Esterina. I figli? Hanno troppo daffare. Gli amici? Meglio non fidarsi. Aggiungi che quando un tale muore, certa gente ci fa sopra una speculazione e ti fa pagare un cero il doppio di quel che costa. Meglio dunque fare i conti prima e prepararsi tutto il necessario, come quando si fa la valigia per prendere il treno. Morire non è forse un lunghissimo viaggio? Quando quel giorno arriva, ti sei regolato nei preparativi, hai risparmiato nelle spese senza scomodare nessuno.”
A Vittorio Bartolini questo discorso parve talmente giusto che gli sembrò d’aver scoperto la cosa più importante del mondo. Per festeggiare pagò a tutti gli amici un quartino, andò al cinematografo a vedere Charlot, fumò un toscano e infine si recò dal falegname a ordinarsi la cassa. Sissignori se l’ordinò elegante e senza miseria controllando la fattura fino all’ultima vite. Duecento lire di viti e bullette, ci volle. Poi prese a nolo un barroccino e se la portò via. Rinunciò a sistemarla sotto il letto, come aveva pensato, perché il letto era troppo basso e corto e le figlie, con cui vive, erano contrarie a quell’idea. Così la mise nel magazzino di un amico. Fatto questo andò dal marmista, ordinò i marmi e incominciò a costruire il suo monumento al Camposanto accanto a quello di Esterina; con le colonnine e tutto, compresa la fotografia. “Oh, fu un lavoro lungo, signori miei. Tutto in punto e virgola.”
Dieci anni ci mise, lavorando un po’ per giorno con la paura di non fare in tempo perché si sentiva invecchiare. Quando arrivò a scolpire l’epigrafe aveva passato gli ottant’anni e fu il 1948. L’epigrafe risultò per lui faccenda più difficile; ma ci riuscì anche perché il succo del discorso gli frullava in testa da quando era giovane. In capo a sette giorni, aiutandosi col vocabolario ebbe pronto il testo. In dieci giorni l’aveva trascritto. Alla fine seppe d’aver fatto soltanto tre errori di ortografia e li corresse col lapis copiativo, sul marmo.
Quando successe, questo era ormai diventato il personaggio più famoso del paese. Sapeva che da principio i fucecchiesi avevano fatto meraviglie, qualcuno aveva riso, qualche altro s’era indignato. Poi vedendo che egli era sempre lo stesso bontempone, che gli piaceva ancora bere, andare al cinema e discutere di politica (lui è socialista) avevano concluso che pazzo non era tutt’al più un originale e poi chissà, che non avesse ragione lui. Cominciarono perfino a congratularsi con lui.
Insomma era accaduto a Fucecchio qualcosa di simile a quello che successe l’anno scorso a Burlington, un paesino degli Stati Uniti, dove un tale James Nelson Gernhart, ex colono settantenne, aveva avuto la medesima idea, anzi era andato più in là: pretendendo di allestire una prova del funerale, col discorso in chiesa, i parenti vestiti a lutto e la musica d’occasione. I duemiladuecento cittadini di Burlington capitanati dal reverendo S. H. Mahaffey, s’erano stizziti; ma il vecchio Jim aveva battuto i piedi, replicando che lui non scherzava affatto. Perciò lo avevano accontentato. E il signor James Nelson Gernhart gode ancora ottima salute.
Anche a Vittorio Bartolini avvenne una cosa molto strana: più preparativi faceva e più si sentiva bene. Quando compì gli ottantacinque anni, alcuni mesi fa, imparò a salire gli scalini a due a due e sconfisse un sessantenne nel braccio di ferro. La faccenda della tomba evidentemente era contro il malocchio, gli serviva ad allungare la vita. Con questa scusa, un bel giorno andò dal tipografo e ordinò i suoi annunci mortuari. Il tipografo non era un fucecchiese e cascò dalle nuvole. «Lei è matto da legare» gli diceva «o che crede?» Ma Vittorio Bartolini lo convinse e si misero d’accordo anche sul prezzo. Tira e molla, si decise di farne dieci da affiggere per le strade e due da attaccare in Comune, per complessive mille lire. Un affarone: tanto più che il sor Vittorio li volle di lusso, coi crisantemi dipinti, e dimostrò una grande suscettibilità nella composizione del testo che dovette esser fatta in un certo modo, con molti spazi vuoti da riempire a mano, al momento opportuno. Il tipografo credeva d’impazzire. Il bello è che, con una punta di civetteria, Vittorio Bartolini non volle lasciare in bianco un po’ di spazio per indicare l’età.
Non solo: ma si comprò un bel vestito blu, da cerimonia, e la cravatta grigia, e le scarpe di camoscio nero, perché non è decoroso andare all’altro mondo con i soli calzini. Infine pagò l’impresario delle pompe funebri; e anche qui, a furia di discutere, si arrivò a un prezzo ragionevole: vorremmo dire un «prezzo di liquidazione». Quando tutti i risparmi furono esauriti, il Bartolini si sentì più ricco di un ricco: perché ormai era pronto, non aveva più paura di morire.
Oriana Fallaci
(Epoca, n. (?) 1952)