Depositato ricorso d’urgenza per fermare la “deforma” della Costituzione

 

In data odierna, Alternativa per l’Italia, ha depositato presso il Tribunale Civile di Roma, ricorso d’urgenza per fermare la “deforma” della nostra Costituzione compiuta ad opera di un Parlamento illegittimo che detiene abusivamente il potere politico.

costituzione

Ecco lo storico atto. Noi non ci limitiamo alle parole, ma mettiamo in campo tutto ciò che è realmente possibile fare.

Ecco l’atto che mi auguro sia sostenuto da tutto il fronte del “no”.

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TRIBUNALE CIVILE DI ROMA

RICORSO EX ART. 700 C.P.C.

Nell’interesse della Senatrice Paola De Pin (omissis) e del Prof. Antonio Maria Rinaldi (omissis) ed ai fini del presente atto entrambi elettivamente domiciliati in Roma, presso lo studio e la persona dell’Avv. (omissis) e rappresentati e difesi, in via tra loro anche disgiunta, dagli Avv.ti Marco Mori del Foro di Genova, Giuseppe Palma del Foro di Brindisi e dall’Avv. Luigi Pecchioli di quello di Perugia, giusta delega in calce al presente atto

PREMESSO CHE

  1. L’art. 1 Cost. recita: “l’Italia è un Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

  2. L’appartenenza della sovranità al popolo in una democrazia parlamentare è il cardine di tutto l’ordinamento, tale appartenenza è stata sottratta illecitamente anche agli odierni ricorrenti, essendo la sovranità un diritto plurisoggettivo di ogni cittadino italiano.

  3. La sovranità si esercita per tramite il diritto di voto che nel nostro ordinamento deve svolgersi in modo eguale, diretto, libero e personale. Anche il diritto di voto è palesemente un diritto soggettivo dei ricorrenti.

  4. Specificatamente, secondo il dettato Costituzionale il voto deve essere personale, uguale, libero e segreto” (art. 48 comma 2, Cost.) ed “a suffragio universale e diretto (artt. 56 comma 1 e 58 comma 1 Cost.), sia nelle elezioni alla Camera dei deputati ed al Senato della Repubblica.

  5. Va sin d’ora rimarcato che la lesione del diritto di voto, strumento naturale con cui si esplica la sovranità popolare, è stata già accertata con due sentenze. Nello specifico la legge elettorale n. 270/2005 è stata dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale con pronuncia n. 1/2014, che ivi deve intendersi integralmente richiamata e trascritta (Doc. 1).

  6. Ma soprattutto, ai fini del presente ricorso, interessa la pronuncia della Cassazione n. 8878/14 (Doc. 2), successiva proprio alla pronuncia della Corte Costituzionale, con la quale è stato accertato che “la dedotta lesione (ndr, quella del diritto di voto) v’è stata per il periodo di vigenza delle disposizioni incostituzionali, poiché i cittadini elettori non hanno potuto esercitare il diritto di voto, personale, eguale, libero e diretto, secondo il paradigma costituzionale, per la oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica, a causa del meccanismo di traduzione dei voti in seggi, intrinsecamente alterato dal premio di maggioranza disegnato dal legislatore del 2005, e a causa della impossibilità per i cittadini elettori di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento”.

  7. Dal deposito di tale sentenza il Parlamento esercita in via abusiva il proprio potere posto che è pacifico, fin dal progetto di Costituzione, che esso non è sovrano di per sé, ma solo in forza della legittimazione popolare,che ovviamente è stata definitivamente acclarata non sussistere per le odierne Camere.

  8. A nulla vale il ben noto paragrafo settimo della sentenza della Corte Costituzionale n. 1/2014, che alcuni commentatori hanno erroneamente inteso possa essere utilizzato al fine di legittimare l’attuale Parlamento fino alla naturale scadenza, la Corte non ha mai affermato tale concetto e d’altrocanto neppure avrebbe potuto.

  9. In nessuna parte della sentenza infatti si dispone che le Camere possano proseguire la propria attività come se nulla fosse o tantomeno possano licenziare la più vasta riforma costituzionale della storia repubblicana: la Corte infatti, nella sentenza, fa semplicemente l’esempio della prorogatio ex art. 61 Cost. e quello della fattispecie inerente alla riconvocazione delle Camere, anche se già sciolte, per l’approvazione di decreti legge, ex art. 77 comma II Cost. In ambedue i casi citati le Camere proseguono un’attività legislativa per il principio della indefettibilità dell’organo, ma solo quella ordinaria, per la prosecuzione regolare del funzionamento dello Stato, e solo per un tempo considerato necessario: nel primo esempio, alla sostituzione con le nuove Camere elette, nel secondo, all’approvazione di un atto legislativo straordinario, indifferibile ed urgente come l’eventuale conversione in legge di un decreto legge (e ciò dovrebbe farci riflettere anche sull’uso praeter legem dell’Istituto che se ne fa attualmente…). La ratio è pertanto chiara: la continuazione di un organo la cui composizione è dichiarata illegittima può essere ammessa, ma solo per il tempo strettamente necessario alla sua sostituzione e per attività ordinaria o indefettibile. Una riforma costituzionale di ampia portata come quella compiuta da questo Parlamento non rientra certo in questi termini, in quanto non può dirsi certo espletamento di un’attività ordinaria e ancor meno un’azione urgente ed indefettibile; al contrario una riforma costituzionale ha bisogno di meditazione ed esame approfondito (come ci dimostrano gli atti della nostra Costituente) e soprattutto di un organo che la approvi nel pieno di una legittimazione democratica, trattandosi di intervenire sulle leggi fondanti lo Stato ed il suo funzionamento. D’altra parte la stessa Corte, nella sentenza citata, suggerisce che le elezioni potrebbero essere svolte con la semplice espunzione delle parti dichiarate incostituzionali, facendo capire che nulla osterebbe, ed anzi sarebbe corretto procedere a nuove elezioni in tempi rapidi e sanare l’attuale gravissimo vulnus nella rappresentanza.

    Ciò è anche il portato della già citata sentenza della Cassazione 8878/14 che, rifiutando di pronunciare la richiesta (dall’avvocatura dello Stato) dichiarazione di cessazione della materia del contendere in ragione della sentenza della Corte Costituzionale 1/2014, al contrario accertava la lesione del diritto di voto dei ricorrenti e appellandosi proprio alla “precisazione della Corte costituzionale, la quale ha osservato che le elezioni svolte costituiscono “un fatto concluso” idoneo a giustificare che i rapporti sorti nel vigore della legge annullata “rimangono regolati dalla legge dichiarata invalida” in quanto “esauriti”” statuiva che proprio la Corte Costituzionale “dimostra che la tutela riconosciuta dall’ordinamento ai ricorrenti elettori, oltre all’accertamento per il passato della lesione subita e del diritto al rimborso delle spese sostenute per conseguire tale risultato processuale (v. il successivo p. 7), è quella, pienamente satisfattiva, della riparazione in forma specifica per effetto della sentenza costituzionale che ha ripristinato la legalità costituzionale, potendo essi, a decorrere dal 13 gennaio 2014 ed attualmente, esercitare il diritto di voto secondo i precetti costituzionali.

    La semplice affermazione che nel frattempo gli atti compiuti e quelli ancora da compiere sarebbero comunque legittimi (i primi poiché le elezioni sono fatto esaurito e i secondi per il principio di prorogatio) non autorizza le attuali Camere, come qualche commentatore, evidentemente “interessato”, ha ritenuto, a svolgere qualsiasi attività legislativa, anche costituzionale, fino alla scadenza del mandato, sia per le ragioni già esposte, sia perché una continuazione così estesa di fatto ignorerebbe il contenuto della sentenza stessa e la sua portata immediatamente precettiva violando oltretutto il diritto al risarcimento in forma specifica del danno patito per effetto delle norme dichiarate incostituzionali acclarato dalla Suprema Corte.

    Una corretta applicazione del precetto della Corte Costituzionale ed il suo rispetto avrebbe dovuto portare le Camere o a richiedere il loro scioglimento immediato o al più ad approvare una nuova legge elettorale in recepimento delle indicazioni della Corte Costituzionale (e non già in sua palese violazione come avvenuto con il c.d. “italicum”) nei tempi strettamente tecnici ed a procedersi a nuove elezioni.

  1. Peraltro, se si ritenesse che la sentenza legittimi le attuali Camere fino alla naturale scadenza ed anche in riferimento ad eventi straordinari come la revisione costituzionale, e non si vede davvero come ciò possa essere fatto, occorre rilevare sin d’ora che le argomentazioni adottate dalla Consulta sarebbero in ogni caso macroscopicamente erronee ed, ancor prima, completamente irrilevanti e prive del valore di giudicato formale e sostanziale, vista l’assorbente considerazione che è l’art. 136 Cost. a disciplinare gli effetti delle sentenze della Consulta, i quali dunque non sono nella disponibilità della Corte stessa. Saremmo difronte al più classico dei cd. obiter dictum;

  2. La Corte Costituzionale infatti, se ci è passato il termine, non rappresenta affatto un sorta di “Dio in terra” dotato di onnipotenza giuridica, ma è unicamente una delle Istituzioni della Repubblica della quale deve rispettare le norme fondamentali e che non può (auto)attribuirsi poteri maggiori di quanti la Costituzione le conferisce. Tutto ciò a tacer del fatto che oggi la stessa legittimazione della Corte è nei fatti a sua volta “minata” proprio dall’incostituzionale legge elettorale che ha violato i principi di rappresentatività democratica.

  3. L’art. 136 Cost. fuga ogni dubbio circa gli effetti dell’incostituzionalità di una norma prevedendo che laddove sia dichiarata incostituzionale essa cessi di avere effetti dal giorno successivo alla pubblicazione in G.U. Oggi il Parlamento, al contrario, continua a legiferare moltiplicando gli effetti dell’illegittimità costituzionale nell’ordinamento e spingendosi fino a travolgerlo, appunto con la recente riforma Costituzionale.

  4. La presente questione dunque riguarda sia il diritto plurisoggettivo alla sovranità che quello personalissimo del diritto di voto. Inoltre, più in generale, un ulteriore interesse ad agire dei ricorrenti è dato dal fatto che la difesa della Repubblica democratica, fondata sul lavoro, è un sacro dovere di ogni cittadino ex art. 52 Cost. e pertanto è, a tutti gli effetti, un diritto soggettivo che comporta una legittimazione rafforzata in capo ad ogni cittadino per ogni azione diretta alla difesa della Carta.

  5. L’indimenticabile Presidente Sandro Pertini ci ricordava che quando il Governo non rispetta la volontà del popolo, ossia quando il governo viola il principio democratico, è doveroso cacciarlo con bastoni e pietre, ebbene la presente causa, non nascondiamoci dietro false dietrologie, servirà principalmente proprio ad evitare che in futuro qualcuno possa arrivare a quest’ultima denegata soluzione.

  6. La Repubblica democratica sta per essere smantellata e si apre la porta ad una dittatura, che peraltro è strettamente funzionale all’assoggettamento del Paese al vincolo esterno UE, come chiaro nella riforma costituzionale già dalla lettura del primo articolo emendato (il 55 Cost.), che significa subordinazione dello Stato al volere dei potentati economici e perdita definitiva della nostra sovranità.

  7. L’assoluta emergenza democratica non è rimediabile con il futuro referendum, che anzi diventa il completamento di un disegno illecito, se non addirittura criminoso ex art. 287 c.p. alla luce delle sentenze citate, che appunto porterà la Repubblica al suo tramonto. Il voto avverrà sotto la pressante influenza dei media mainstream ormai in mano saldamente alle forze economiche che supportano il Governo. In ogni caso, giuridicamente, ciò che interessa sul punto è la circostanza che il vizio di rappresentanza del Parlamento, accertato lo si ripete, dalla Corte Costituzionale e dalla Suprema Corte di Cassazione, non è sanabile dal successivo referendum, ma travolge l’intera procedura per violazione dell’art. 138 Cost ed anche dell’art. 139 Costituzione ove, come noto, si pone l’assoluto divieto di modificare la forma repubblicana anche mediante procedura ex art. 138 Cost.

  8. La richiesta cautelare ex art. 700 c.p.c., in punto periculum, è fondata sull’impossibilità di attendere i tempi di un Giudizio di merito per salvare la Repubblica ed impedire che un Parlamento continui a ritenersi sovrano di per sé malgrado la violazione degli artt. 1, 48, 56, 58, 138, 139 Cost. e 287 c.p. L’unico obbligo giuridicamente azionabile dinnanzi al G.O. può essere imposto ex art. 89 Cost. in capo al Presidente del Consiglio ed al Ministro proponente il disegno di legge costituzionale, ed è quello del divieto di controfirma sulla legge costituzionale, al fine di impedirne la validità, ovviamente impossibile senza la loro firma congiunta e ciò anche in attesa che eventualmente possa pronunciarsi la Corte Costituzionale sulla comunque qui dedotta violazione della Costituzione nei suoi immodificabili principi ex artt. 1, 48, 56, 58, 138 e 139 che l’Ill.mo Giudicante potrà, ove ritenuto di non poter altrimenti disporre, sottoporre al vaglio del Giudice delle Leggi.

  9. Ai sensi dell’art. 89 Cost. infatti: Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità. Gli atti che hanno valore legislativo e gli altri indicati dalla legge sono controfirmati anche dal Presidente del Consiglio dei Ministri”.

  1. Da ciò consegue la piena assunzione di responsabilità ex art. 2043 c.c. del Presidente del Consiglio e del Ministro Proponente una legge, con conseguente ed ulteriore piena legittimità di una tutela anticipata ex art. 700 c.p.c., tutela che necessariamente deve esistere ed essere attiva nell’ordinamento prima che il danno si sia verificato.

  2. Vale la pena ricordare le parole sul tema di un ex Presidente della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky, di nomina antecedente al pasticcio del porcellum, affinché siano da monito sull’importanza della presente causa da cui dipenderà la stessa esistenza in futuro della Repubblica Italiana: “Oltretutto, ho l’impressione che i nostri riformatori, tronfi dei loro numeri raccogliticci in un consesso che ha raggiunto il grado più basso di credibilità, non agiscano in libertà, ma come esecutori di progetti che li sovrastano, di cui hanno accettato di farsi passivi e arroganti esecutori in nome di interessi o poco chiari, o indicibili ch’essi riassumono nel ridicolo nome di «governabilità»: parola di cui non conoscono nemmeno il significato”.

IN DIRITTO

-Illegittimità delle Camere ed usurpazione del potere politico. Violazione degli artt. 1, 48, 56, 58, 138 Cost. e 287 c.p.

La violazione dei diritti soggettivi di rango Costituzionale dell’esponente che si chiede di accertare e tutelare, anche in questa necessaria fase cautelare, attraverso la condanna ad un obbligo di non fare in capo al Presidente del Consiglio ed al Ministro Boschi, che sia idoneo a fermare l’azione eversiva in corso, parte proprio dalla stessa prosecuzione dell’attività dell’attuale Parlamento.

L’illegittimità delle Camere, per violazione del principio democratico, che hanno licenziato la riforma Costituzionale è infatti manifesta ed incontestabile.

Il Parlamento è il fulcro della nostra democrazia ed esso, come ben specificato dall’On. Meuccio Ruini nel progetto di Costituzione non è sovrano di per sé, ma solo inforza dell’investitura popolare: La sovranità del popolo si esplica, mediante il voto, nell’elezione del Parlamento e nel referendum. E poiché anche il referendum si inserisce nell’attività legislativa del Parlamento, il fulcro concreto dell’organizzazione costituzionale è qui, nel Parlamento; che non è sovrano di per se stesso; ma è l’organo di più immediata derivazione dal popolo; e come tale riassume in sé la funzione di fare le leggi e di determinare e dirigere la formazione e l’attività del governo”.

Infatti la forma necessariamente Repubblicana del nostro Stato comprende l’appartenenza popolare della sovranità, ex art. 1 Cost.

Popolo che poi la esercita ai sensi degli artt. 48, 56 e 58 Cost. ovvero con voto personale, eguale, libero e diretto.

Mai si era verificata nella storia Repubblicana una lesione così grave di tale fondamentale principio primigenio della nostra Costituzione, siamo dunque in un fronte inesplorato del diritto, poiché mai il Paese era stato messo di fronte all’eversione del proprio ordinamento democratico.

D’altronde l’equilibrio dei tre poteri era pensato proprio per questo, evitare l’avvento di nuovi totalitarismi, la Magistratura dunque non può sottrarsi al suo ineludibile mandato.

La Cassazione con la nota sentenza n. 8878/14 ha già accertato, con efficacia di giudicato che, nel periodo di decorrenza della legge elettorale n. 270/2005 (appunto il cd. porcellum), si è verificata la grave alterazione dei principi di rappresentatività democratica in questo Paese, come riportato testualmente nelle premesse del presente atto.

Come detto non esiste vulnus giuridico più grave e tantomeno non esiste diritto soggettivo più importante da tutelare e proteggere.

Tale vulnus non può che riflettersi radicalmente sulla procedura di revisione Costituzionale, che dunque non si è correttamente svolta poiché la procedura dell’art. 138 Cost., come conformata dall’art. 139 Cost., impone che, a proporre la modifica Costituzionale, sia un Parlamento democraticamente formato e composto nel pieno rispetto dei principi di rappresentatività democratica e non già in loro violazione.

La maggioranza assoluta per l’approvazione della riforma costituzionale era stata infatti concepita come garanzia in un Parlamento in cui certamente non vi doveva essere un premio di maggioranza illegittimo, che ne alterasse gli equilibri ed ovviamente in cui i rappresentanti del popolo fossero eletti con voto diretto e personale, e non già secondo le scelte dei partiti così componendo un Parlamento di nominati.

Anzi, il fatto stesso che Camere illegittime si siano adoperate per fare questa riforma, diretta come dice Zagrebelsky a tutelare interessi (economici) innominabili (benché in questa sede non si entrerà nel merito dell’intera riforma, è bene che certe cose vengano ricordate), ha conseguenze che dovrebbero trascendere la sfera civilistica, ma entrare a pieno titolo nell’ambito di punibilità di cui all’art. 287 c.p. “usurpazione del potere politico”.

Anche perché se l’articolo 287 c.p. non dovesse trovare applicazione adesso, quando la troverebbe?

Ma v’è di più.

La riforma proposta dall’attuale Governo all’attuale Parlamento a-democratico è stata approvata a maggioranza assoluta dei membri di un Parlamento non appartenente al modello tipico della Repubblica democratica e, proprio per tale motivo, la stessa maggioranza parlamentare chiedeva di sottoporre a referendum il proprio operato, nel tentativo di ottenere una copertura “democratica” al proprio operato incostituzionale.

Ed infatti non solo la riforma costituzionale con un inaudito accentramento di poteri viola il principio democratico-repubblicano che l’art. 139 Cost si premura di chiarire come immodificabile anche mediante procedura ex art. 138 Cost, ma proprio la formazione della legge di riforma costituzionale mediante un Parlamento acclaratamente non appartenente al genus dei parlamenti democratici la pone fuori dal paradigma di cui all’art. 138 Cost. per la mancanza odierna di legittimazione da parte delle Camere a legiferare su materia riservata al parlamento democratico.

Ebbene il referendum ex art. 138 Cost, siccome privo di quorum, non consentirebbe la legittimazione democratica ex post all’operato del Parlamento incostituzionale e quindi il referendum stesso, siccome in patente violazione dell’art. 139 Cost finirebbe per pretendere attribuire legittimità all’operato di un organo di uno Stato che, perdurando l’odierna situazione di a-democraticità, non è più conforme al modello repubblicano democratico immodificabile.

D’altronde se la violazione di rappresentatività democratica è accertata con valore di giudicato non si vede a quale titolo l’attività delle Camere, non solo sia proseguita in via ordinaria, come comunque non era possibile fare neppure in forza del paragrafo 7) della sentenza della Corte Cost. n. 1/2014, che infatti non affermava che esse potessero proseguire come nulla fosse fino a fine legislatura, ma si sia spinta fino alla riforma Costituzionale.

Gli effetti dell’incostituzionalità della legge elettorale e della violazione dei principi di rappresentatività democratica oggi finiscono con il travolgere l’intero ordinamento.

Nessun giurista in buona fede può affermare che le attuali Camere godano di una legittimazione sufficiente ed idonea a modificare la Costituzione (lo si dice con forza, assumendosi le responsabilità di certe dichiarazioni, consci che oggi si agisce per la difesa della Patria e per il rispetto della Costituzione primigenia), circostanza che determinerebbe, da sola, l’accoglimento delle domande di parte ricorrente che reclama l’immediata interruzione di questo processo ed il ripristino della propria sovranità da esercitarsi attraverso il diritto di voto diretto, eguale, libero e personale.

Non potendosi imporre un obbligo di fare al P.d.R., la scelta per interrompere le conseguenze della situazione lesiva, nelle more dell’avvento di una sentenza di merito sul punto, non poteva che passare dalla richiesta, l’unica possibile in via cautelare e nel successivo giudizio di merito, di inibire al Presidente del Consiglio ed al Ministro Boschi il potere di firma necessario alla promulgazione e alla validità della riforma Costituzionale. Ma di questo si dirà meglio infra.

Chiarito dunque che il Parlamento non ha alcuna legittimazione a riformare la Costituzione e che tale fatto anzi costituisce reato, non ci si può esimere in questa sede di far presente la totale inutilizzabilità del paragrafo 7) della sentenza n. 1/2014 per sovvertire quanto affermato da questa difesa. Visto che ovvio che su questo tema si basano le sterili difese del Governo.

-osservazioni in merito alla sentenza della Corte Costituzionale n. 1/2014.

Come detto la ratio dell’affermazione della Corte è chiara: la continuazione di un organo la cui composizione è dichiarata illegittima può essere ammessa, masolo per il tempo strettamente necessario alla sua sostituzione e per attività ordinaria o indefettibile. Una riforma costituzionale di ampia portata come quella compiuta da questo Parlamento non rientra certo in questi termini, in quanto non può dirsi certo espletamento di un’attività ordinaria e ancor meno un’azione urgente ed indefettibile. D’altronde i Giudici non avrebbero potuto in alcun modo autorizzare un comportamento in contrasto con il dettato costituzionale, in quanto, come è pacifico, il Giudicato Costituzionale non può estendersi oltre le attribuzioni che la Costituzione stessa riserva alla Corte ai sensi dell’art. 134 Cost. e nei suoi compiti non vi è permettere deroghe alla sua piena applicazione.

Gli effetti di una sentenza della Corte Costituzionale infatti sono disciplinati dall’art. 136, che impone che una norma dichiarata incostituzionale cessi di avere effetti nell’ordinamento dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza.

Qualcuno può affermare, rimanendo serio, che gli effetti della violazione del principio di rappresentatività democratica nell’ordinamento sono oggi cessati?

Il Parlamento non è forse composto in violazione dei principi di rappresentatività democratica con conseguente sottrazione al popolo della sua sovranità da esercitarsi attraverso il voto eguale, diretto, libero e personale?

La riforma Costituzionale licenziata smentisce categoricamente tale assunto, gli effetti dell’incostituzionalità si stanno moltiplicando fino a travolgere l’intero ordinamento con buona pace del principio di sovranità popolare e rappresentatività democratica e con buona pace per ovvietà democratica scolpita dai Padri Fondatori secondo la quale il Parlamento non è certo sovrano di per sè.

Ergo l’art. 136 Cost. non è stato rispettato.

A rigor di logica peraltro, va ribadito ancora, anche leggendo alla lettera le considerazioni della Corte Costituzionale, senza considerarle completamente irrilevanti perché pronunciate al di fuori dei propri poteri, in nessun parte del paragrafo sette si evince il diritto a proseguire nella legislatura come se nulla fosse o tantomeno che si potesse licenziare una vasta riforma costituzionale.

Anzi, ben vedere, proprio il richiamo che la Corte fa all’art. 61 Cost. conduce a considerazioni addirittura opposte. Infatti il presupposto per la prorogatio delle Camere, quali organi indefettibili dello Stato, è proprio il previo scioglimento delle Camere stesse.

Così si attua il principio dell’indefettibilità del Parlamento.

Le vecchie Camere infatti, ai sensi dell’art. 61 Cost., sono prorogate nei loro poteri fino alle nuove elezioni, che però debbono avvenire nei settanta giorni dallo scioglimento delle stesse.

Anche il ritenere il Parlamento situazione giuridica esaurita non ha alcun senso e ciò proprio secondo le norme richiamate dalla stessa Corte Costituzionale visto che l’art. 66 dispone che ciascuna Camere decide in ogni momento sui titoli di ammissione dei suoi componenti ed anche sulle cause sopraggiunte di ineleggibilità ed incompatibilità.

Essere eletti in violazione accertata degli artt. 1 e 48, 56 e 58 Cost. non rappresenta un problema per il mantenimento del ruolo Parlamentare?

Pare davvero essere usciti dal diritto ed essere entrati nella fantascienza, anzi in un incubo surreale, in cui la democrazia si disperde per sempre sotto scroscianti applausi e la totale omertà di chi, come noi giuristi, la Costituzione dovrebbe conoscerla e difenderla.

                             * * *

-In merito all’utilizzabilità dell’istituto ex art. 700 c.p.c.

Il ricorso ex art. 700 c.p.c. consente di tutelare un diritto che, nelle more dei tempi di un giudizio di merito, sia minacciato da un pregiudizio imminente ed irreparabile.

Nel caso di specie i diritti di rango Costituzionale di cui si chiede la tutela sono quelli di cui agli artt. 1, 48, 56, 58, 138 e 139 Cost.

Se la riforma costituzionale fosse promulgata la lesione sarebbe certamente irreparabile poiché tali diritti sarebbero definitivamente calpestati. E non solo questi.

Valga un’unica considerazione sul merito della stessa: nella riforma si prevede che il nuovo Senato sia costituito da consiglieri regionali, consiglieri provinciali delle province autonome ed i sindaci. Questi senatori vengono eletti dai consigli, ovvero vengono eletti da organi che in alcun modo sono espressione diretta della volontà popolare, essendo organi nominati.

A nulla vale il riferimento frettoloso del comma V del nuovo art. 57 Cost. alla “conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri” perché delle due l’una: o i Consigli devono rispettare le preferenze avute dai candidati consiglieri al momento della loro elezione alle amministrative, ed allora la previsione della successiva elezione per diventare senatori è inutile ed i Consigli sono privati di fatto dei poteri previsti dall’art. 57 comma II in sua violazione, o i Consigli hanno realmente questo potere di scelta, ed allora si rischia il mancato rispetto della conformità alle scelte espresse dagli elettori, e quindi la violazione del comma V dello stesso.

Non solo: tale astratta conformità è prevista esclusivamente per i Consiglieri, ma non per i Sindaci. Questi ultimi pertanto sicuramente vengono eletti con criteri e con scelte che non hanno niente a che fare con la volontà degli elettori.

Stando così le cose, questi senatori non sono in alcun modo espressione della diretta volontà del popolo e pertanto non potrebbero concorrere alla formazione delle leggi, che è un potere che deriva dall’investitura diretta dei cittadini, unici ad avere questo potere ex art. 1 comma II.

La riforma invece prevede espressamente vari casi in cui il Senato concorre pienamente alla formazione delle leggi e prevede anche un suo intervento facoltativo in ogni legge emanata dalla Camera: questo potere legislativo compiuto da un organo non direttamente eletto dal popolo e non rappresentante una sua scelta è chiaramente incostituzionale, per violazione degli art. 1 e 58.

L’imminenza del pregiudizio è poi lampante, si sta per celebrare un referendum a seguito del quale una riforma palesemente viziata per le argomentazioni svolte potrebbe entrare in vigore, referendum che peraltro non sana affatto i vizi ad esso precedenti.

La lesione dei diritti di rango costituzionale dell’esponente non ha avuto fine con la declaratoria di incostituzionalità del porcellum poiché il PdR, contro le sue prerogative, tradendo Costituzione e Repubblica, non ha sciolto le camere. Oggi la lesione prosegue e si aggrava con la riforma costituzionale.

Come già detto, non potendosi agire ex art. 700 c.p.c. contro il P.d.R. (che detto chiaramente meriterebbe, per non aver sciolto le Camere, la messa in stato d’accusa), la soluzione non poteva che essere quella che l’art. 89 Cost. permette, dunque agire per fermare la validità della riforma impedendo la controfirma del Presidente del Consiglio, ovvero quella del Ministro proponente.

Un obbligo di non fare dunque imposto agli unici soggetti contro cui la Magistratura può intervenire direttamente e coattivamente.

Nella successiva fase di merito si agirà poi anche per il risarcimento del relativo danno non patrimoniale conseguente alla grave e reiterata lesione di molteplici diritti costituzionali e dell’art. 287 c.p.

Tutto quanto sopra esposto, la Senatrice Paola De Pin ed il Professor Antonio Maria Rinaldi, come sopra rappresentati e difesi

RICORRONO

avverso la Presidenza del Consiglio dei Ministri in persona del Presidente protempore, attualmente Matteo Renzi, il Ministero per le Riforme Costituzionali ed i Rapporti con il Parlamento, attualmente in persona del Ministro protempore Maria Elena Boschi, tutti presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato corrente in Roma, Via dei Portoghesi n. 12 affinché – previe tutte le pronunce e declaratorie del caso – l’Ill.mo Giudice adito voglia accogliere le seguenti

CONCLUSIONI

Piaccia all’Ill.mo Tribunale adito, contrariis reiectis, per le causali di cui in narrativa, accertare che l’esponente non ha potuto esercitare, per i motivi tutti di cui in narrativa, il diritto plurisoggettivo della sovranità ed il diritto di voto conformemente al combinato disposto degli artt. 1, 48, 56 e 58 Cost. e che tale lesione oggi prosegue e si aggrava a causa dell’attività del Parlamento che si è spinto fino a licenziare, anche in violazione degli artt. 138 e 139 Cost. e dell’art. 287 c.p., la più ampia riforma costituzionale della storia della Repubblica e conseguentemente, in via cautelare, ai fini del presente ricorso ex art. 700 c.p.c., condannare, la Presidenza del Consiglio dei Ministri in persona del Presidente del Consiglio protempore ed il Ministero per le Riforme Costituzionali ed i Rapporti con il Parlamento in persona del Ministro protempore, all’obbligo di “non fare” consistente nell’inibire l’apposizione delle loro controfirme ex art. 89 Cost. sulla legge costituzionale di cui in narrativa, il cui testo è stato approvato dalle Camere e pubblicato in g.u . n. 88 del 15 aprile 2016 in attesa della celebrazione del necessario referendum confermativo e, nel successivo giudizio di merito anche su qualsivoglia ulteriore legge costituzionale si intendesse porre in essere ad opera delle attuali Camere non legittimate, oltre a chiedere, sempre nella successiva fase di merito, il risarcimento del danno non patrimoniale patito dai ricorrenti in forza della lesione dei diritti costituzionali di cui si chiede tutela;

in ogni caso con vittoria di spese e competenze professionali.

Con ogni più ampia riserva di ulteriormente dedurre e produrre nei termini concedendi.

(omissis)

Si producono i seguenti documenti:

Doc. 1) Sentenza Corte Cost. 1/2014;

Doc. 2) Sentenza Cass. n. 8878/14.

Con osservanza.

Rapallo, 5 settembre 2016

Avv. Marco Mori

Avv. Luigi Pecchioli

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