Il “Fertility Day” promosso dal ministero della salute ha sortito un mare di critiche, e d’altra parte è difficile pensare che ciò non accadesse, dato l’argomento e il modo in cui è stato affrontato. Credo che sollevare il problema sia meritorio, ma non si può pensare di mettere il dito nella piaga e diagnosticare la malattia senza offrire poi i mezzi per poterla guarire. Credo cioè che non si possa portare alla ribalta il problema senza poi indicare la strada da imboccare e suggerire i rimedi per poterlo risolvere. E’ come far vedere la ciotola d’acqua a chi sta morendo di sete e, all’ultimo, sottrargliela prima che la possa bere.
Da molti il termine “fertilità” è stato inteso nel significato, più ampio, di “fecondità”, o “natalità”, ed è giusto che sia così. Il problema infatti, in Italia, non è tanto quello della sterilità delle coppie, intesa come incapacità fisica di riprodursi (che pure esiste), quanto piuttosto quello, che ha un impatto molto più catastrofico, della precisa volontà delle coppie di non avere figli o di limitare la propria discendenza a un unico figlio. Ciò è destinato a generare una rapida implosione demografica, che necessariamente si accompagna alla scomparsa delle connotazioni culturali e del modello di società espresso dalla popolazione interessata da tale processo.
Credo che la maggioranza degli Italiani non si renda minimamente conto di fare ormai parte di una sorta di riserva indiana, e cioè di essere diventati dei panda, convinti come sono di rappresentare ancora un modello di riferimento per l’intero mondo, come lo è stato l’Italia del Rinascimento, e comunque di rappresentare, come Europei, un modello a cui tutti gli abitanti della Terra sono destinati a ispirarsi. Si tratta di una convinzione fallace, perché la popolazione italiana originaria e quella originaria del resto d’Europa sono in via di sensibile rapida diminuzione e l’intero continente europeo è diventato terra di conquista da parte di popoli portatori di culture profondamente diverse da quella che ci ha finora caratterizzato come occidentali.
Non c’è bisogno di essere ferrati in matematica per capire che, se per la “crescita zero” (stabilità numerica della popolazione) servono in media 2,1 figli per donna, con un unico figlio per donna la popolazione si dimezza a ogni generazione. Se oggi in Italia siamo di poco sopra il valore di 1,0 figli per donna (più precisamente a 1,3) è solo perché gli immigrati fanno molti più figli degli Italiani autoctoni e il dato che viene fornito è quello complessivo.
Ciò che si è osservato negli ultimi anni, e che rappresenta un dato assai indicativo, è che anche la natalità degli immigrati si sta gradualmente abbassando. Forse che abitare in Italia rende sterili? In un certo senso è così. Come si può ben immaginare, non si tratta di incapacità di concepire, ma piuttosto della deliberata volontà di evitare il concepimento. Credo che non sia difficile individuarne le cause. Dopo un po’ di anni che vivono in Italia, gli immigrati cominciano ad avvertire gli stessi problemi che hanno gli autoctoni e a capire che mantenere figli in Italia è un’impresa ai limiti delle possibilità umane e che non vale certo la pena di cimentarvisi.
Lo Stato si disinteressa del tutto delle famiglie e dei bambini, non offre asili nido gratuiti, non garantisce un lavoro neppure a chi si è impegnato per lunghi anni negli studi, impone regole che tolgono ai lavoratori, oltre che la dignità, anche qualsiasi garanzia di stabilità, e alla fine impedisce ai giovani di formarsi una famiglia. In queste condizioni la procreazione è quasi impossibile e quindi slogan quali “la bellezza non ha età, la fertilità sì” possono suonare come una presa in giro e una beffa.
Riconosco al ministro della salute Lorenzin il merito di aver posto il problema al centro dell’attenzione, ma non basta suggerire agli Italiani di fare figli in età meno avanzata: bisogna piuttosto creare le condizioni perché ciò possa avvenire. C’è bisogno allora di una sorta di rivoluzione copernicana, di una profonda svolta morale e culturale in grado di rivoltare l’Italia come un calzino: si tratta infatti di rifondare la società italiana, inserendo nella Costituzione non il pareggio di bilancio, ma piuttosto tutte quelle regole atte a garantire il “pareggio” demografico.
Bisogna liberarsi della camicia di forza delle attuali regole europee, come ha già fatto il Regno Unito, e fare della stabilità demografica una priorità per il Paese. Sarà allora necessario dare più servizi alla maternità, liberare risorse attraverso la oculata gestione di una moneta nazionale, restituire lavoro agli Italiani impedendo con opportune norme ad hoc che le nostre imprese delocalizzino all’estero, richiedere la restituzione dei 220.000 miliardi di lire elargiti dai cittadini italiani alla Fiat, varare norme che migliorino la qualità della vita rendendo compatibile la maternità con il lavoro e varie altre cose ancora che è noioso qui elencare, perché l’elenco sarebbe lungo. Solo in questo modo si creerebbero le condizioni per riacquistare fiducia nel proprio futuro e rilanciare la natalità.
L’Italia è un Paese morente. La Lorenzin sfiora appena il problema, i suoi slogan sono pure simpatici, viene perfino incolpata di “esaltare in un modo medioevale il concepimento in età giovane” e merita a mio avviso qualche complimento per aver osato indicare il disastro del Paese morente, ma la soluzione passa attraverso una rivoluzione che i “compagni di cordata” dello stesso ministro sono ben lungi dal poter attuare e perfino concepire.
Omar Valentini
… MAGARA .(MAGARI) . SI AVREBBE IL RAPPRESENTANTE DELLO STATO… L’AIUTI DI QUELLO CHE MANCA … ECC…