Lassaad Briki e Muhammad Waqas, il tunisino e il pakistano condannati lo scorso 25 maggio a sei anni di carcere per terrorismo internazionale perché legati all’Isis, “erano determinati ad ‘ammazzare’ in Italia, a tratti sognavano di raggiungere il territorio dell’Is (…) per partecipare al jihad in quella terra”. Lo si legge nelle motivazioni della sentenza di condanna che la prima Corte d’Assise di Milano, presieduta da Ilio Mannucci Pacini, ha depositato oggi
Ilaria Simi, il giudice estensore, riferendosi ai due, accomunati “dalla forte determinazione a commettere un qualsiasi attentato”, ha aggiunto che “in ogni caso, il loro agire – anche estemporaneo ed isolato – sarebbe stato facilmente riconducibile allo Stato Islamico, e da esso certamente rivendicato”.
Non serve – spiegano i giudici – che i lupi solitari commettano azioni violente per essere considerati pericolosi ed essere perseguiti. «L’esecuzione di un’azione terroristica in genere segna anche il momento in cui l’intervento repressivo dello Stato è ormai inutile». Da qui la necessità dell’«anticipazione» delle contromisure, «con la configurazione di un reato di pericolo».
L’Isis ordina «di colpire gli infedeli ovunque si trovino, cosicché ogni aderente sa perfettamente qual è il suo compito, la cui esecuzione dimostra la condivisione e il perseguimento degli scopi dell’associazione e viene perciò dalla stessa rivendicato». È il «terrorismo individuale»– NON SOLITARIO