Una politica aziendale che impone a una dipendente di togliere il velo quando si trova a contatto con i clienti costituisce un’illegittima discriminazione diretta. E’ quanto sostiene l’avvocato generale della Corte di Giustizia dell’Ue Eleanor Sharpston, nelle conclusioni relative ad una causa che vede opposte Asma Bougnaoui, una donna musulmana assunta come ingegnere progettista, e la Micropole, una società di consulenza informatica francese, ex datore di lavoro della professionista. Le conclusioni dell’avvocato generale non vincolano la Corte, cui spetta l’emissione della sentenza, che arriverà in seguito.
Una politica che impone un codice di abbigliamento totalmente neutro, secondo l’avvocato generale, può anche costituire una discriminazione indiretta, giustificata solo se proporzionata al conseguimento di un obiettivo legittimo, che può essere rappresentato dagli interessi commerciali di un datore di lavoro. La Bougnaoui, assunta nel 2008 dalla Micropole, indossava a volte, quando lo desiderava, un velo che le copriva il capo, lasciandole il viso scoperto.
Nell’ambito delle proprie mansioni, la donna incontrava clienti della Micropole, nelle loro sedi. Un cliente si è lamentato, sostenendo che il velo portato dall’ingegnere avrebbe “messo in imbarazzo” i suoi impiegati. I datori di lavoro le hanno quindi chiesto la disponibilità a non indossare il velo la volta successiva, richiesta alla quale la donna ha opposto un rifiuto. L’azienda l’ha quindi licenziata, il 22 giugno del 2009.
Secondo la Micropole, il rifiuto di togliere il velo avrebbe reso impossibile lo svolgimento delle sue mansioni in rappresentanza dell’impresa. La Bougnaoui ha fatto causa. adnkronos
DAL DIRITTO ALL’OBBLIGO IL PASSO SARA’ BREVISSIMO