Gli esponenti della ‘ndrangheta vengono condannati in primo grado e in appello, ma il giudice non deposita la sentenza. Un ritardo di undici mesi che ha portato alcuni condannati nell’inchiesta denominata “Cosa Mia” iniziata nel 2010 a Reggio Calabria a tornare in libertà. Tra loro c’è Teresa Gallico, condannata a 17 anni e 5 mesi di carcere.
Oggi il quotidiano La Stampa scrive che il processo nato dall’allora procuratore Giuseppe Pignatone, ora procuratore a Roma, era nato da una sanguinosa guerra di mafia tra gli anni Ottanta e Novanta per il controllo delle cosche della ‘ndrangheta sui lavori dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, dove chiedevano una tangente del 3% alle imprese spacciandola per “tassa ambientale” o “costo sicurezza”. Si fa il processo, mobilitando i reparti speciali per la delicatezza e la pericolosità della materia, e nel 2013 arrivano 42 condanne per 300 anni di carcere. Tutto confermato in appello, a luglio 2015.
Poi c’è il passaggio in Cassazione. E i tempi per fare tutto, prima che scadano i termini della custodia cautelare (sei anni), ci sono, visto che i boss sono stati arrestati nel giugno 2010. Peccato che i termini siano scaduti una settimana fa senza che alla Suprema Corte siano neanche arrivate le carte, ferme in Corte d’Assise a Reggio perché il giudice non ha depositato le motivazioni. Dopo undici mesi. Il risultato: tre imputati con doppia condanna per associazione mafiosa sono liberi. Altri dieci erano usciti sempre per scadenza dei termini della custodia cautelare.