di Domenico Rosa
Leggere la raccolta di Simone Innocenti, giornalista del Corriere Fiorentino, è come vedere un film con la sua voce fuori campo che parla di morti, rapine, tradimenti, omicidi. Mentre sfogliavo le pagine i miei occhi ascoltavano le sue parole, sembrava di rivivere i tempi delle Questura seduti a prendere appunti spalla a spalla. Dalla cronaca nera al racconto noir il passo è breve. Ma gli angusti spazi del giornale, che tarpano le ali alla traboccante verve dell’autore, nella scrittura si aprono finalmente alla libertà. La prosa dura di Simone (chi lo conosce sa che dietro il burbero cronista si cela un’anima grande) si spande in ogni riga di Puntazza (Edizioni L’Erudita euro 13), un linguaggio forte utile per raccontare la vita, la vita da inculare “perché se aspetti che smetta di incularti non hai capito proprio nulla”, ricordano i ragazzi mai cresciuti del Parco di Puntazza che eseguono il furto di gratta e vinci nella tabaccheria del padre di uno di loro. Non mancano scene di criminali, che rapinano prostitute sadomaso e anziani in cerca di ragazzi, e ad un tratto credono di svoltare con il traffico di animali. In verità troveranno solo guai.
Otto storie che non cercano il lieto fine ma proprio come la cronaca nera, che l’autore sa tanto maneggiare, ci sbattono in faccia la realtà, cruda, violenta, cinica. Trame che si intrecciano, la splendida Versilia, amori che non si concretizzano e lasciano il posto a gelosia, omicidi, malattie, infarti, vite spezzate o mai vissute. E’ gustoso vedere nelle pagine che si susseguono i recinti imposti al giornalista spezzati sapientemente dallo scrittore.
Leggendo il secondo racconto “L’àncora” mi sono venute in mente le parole dello storico francese Marc Bloch: “Più che dei nostri genitori siamo figli del nostro tempo”, sullo sfondo della narrazione infatti troviamo una storia d’amore tra due uomini, una strizzata d’occhio alla legge Cirinnà. Ma subito dopo il novello scrittore infila una perla che sa di Vangelo, ricorda la parabola del ricco stolto di Luca che dopo un raccolto abbondante pensa di spassarsela per alcuni anni, senza sapere che il giorno successivo avrebbe reso l’anima a Dio. “Così avviene a chi accumula tesori per sé e non è ricco verso Dio” (Lc 12,21). Lo stesso accade al ‘Calcolatore’ di Innocenti, uomo di scienza e di successo, che a un certo punto si trova a fare i conti con il poco tempo che gli rimane a disposizione. Dopo una vita di piaceri sa di essere arrivato al capolinea e finisce in una chiesa in ginocchio davanti a Cristo a pregare. Scoprirà che non tutto si può calcolare.
Un affresco di esistenze che si legge tutto d’un fiato, in cui la volgarità dell’autore non è gratuita ma essenziale alla narrazione e d’altra parte si sa i puri di cuore non hanno paura di chiamare le cose con il proprio nome.